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 2021  dicembre 22 Mercoledì calendario

Biografia di Serena Rossi

Da bambina cosa sognava di diventare?
«L’animatrice nei villaggi turistici. In vacanza vedevo questi animatori che accoglievano e intrattenevano gli ospiti, facevano spettacoli». 
Prime prove? 
«C’è un video di mio padre al matrimonio di uno zio. Sbuco io, tipo inviata: “Buonasera a tutti, io sono Serena e siamo al matrimonio di zio Enzo”. Avevo 6 anni». 
In realtà le prime tracce della vocazione artistica di Serena Rossi risalgono a quando di anni ne aveva tre, e sua madre la registrava di nascosto mentre cantava Eros Ramazzotti, Marcella Bella e Renzo Arbore. Poi le recite davanti ai parenti per Natale, quando per creare l’effetto fumo gettava l’acqua sul ghiaccio secco o ricopriva le abat-jour con la plastica usata per rivestire le copertine dei libri. Non ha mai smesso di divertirsi, oggi come allora. Si vede da come le si illuminano gli occhi mentre si racconta nella sua stanza d’albergo a Milano, t-shirt azzurra e scarpe da tennis, senza un filo di trucco, prima di correre alle prove di Balla con me, appuntamento di inizio anno con Roberto Bolle su Rai Uno. «Può scrivere che lo amo? Rappresenta tutto quello che vorrei insegnare a mio figlio: garbo, gentilezza, eleganza. Dimostra che si può arrivare lontano restando fedeli ai propri valori». 
Si sente più cantante, attrice o conduttrice? 
«Arrivo sul set e dico “eh, quello è il mio posto”, poi devo studiare una canzone per uno show e dico “no la musica è la musica”. Sto a mio agio sul palcoscenico, in diretta tv o a teatro. Mi innamoro di tutto quello che faccio». 
Il suo è un talento di famiglia. 
«Mio nonno materno era paroliere di Merola, quello paterno suonava l’organetto». 
Sua madre? 
«Patrizia, una delle prime speaker delle radio private a Napoli. Ha fatto la maestra, poi l’estetista in casa e ora l’aggiunta trucco sul set. Prima del ciak viene e mi fa le carezze». 
Suo padre? 
«Renato, tecnico di laboratorio all’ospedale. Voleva studiare al Conservatorio, ma per il nonno la musica non era un mestiere. Ai matrimoni mi accompagnava lui con la chitarra». 
Sua sorella? 
«Ilaria è dietro le quinte, nel casting. È stata la mia controfigura in Ammore e malavita, perché ero incinta. E in Mina Settembre ogni tanto gira con il cappotto rosso al posto mio». 
È andata alla Mostra del Cinema di Venezia tre volte. Com’è cambiata l’emozione? 
«La prima, con Ammore e malavita dei Manetti Bros., sul tappeto rosso la gente cantava. La seconda, fuori concorso con Lasciami andaredi Stefano Mordini, era l’anno del lockdown: un’atmosfera totalmente diversa, ma capivi che era importante esserci». 
Quest’anno ci è tornata da madrina. 
«All’inizio, ho fatto il discorso al mio gruppo, in albergo. C’erano trucco, parrucco, l’agente, l’ufficio stampa. Ho chiesto di vivercela con leggerezza: non stavamo operando a cuore aperto, ma dovevamo dare il massimo». 
Fa sempre discorsi motivazionali? 
«Sì, perché credo nel lavoro di squadra: ognuno ha un ruolo, il suo talento, e in una catena così complessa se io faccio bene è anche perché prima di me in tanti hanno fatto bene il loro. E poi: “C’a Maronna c’accumpagni!”». 
Gli incontri a Venezia. Penélope Cruz? 
«Nel discorso di inaugurazione avevo parlato delle donne afghane e dei loro bambini e a cena lei mi disse: si capiva che lo sentivi. Risposi che avevo parlato come una mamma. Replicò: io ti ho ascoltata come una mamma. Ci siamo messe a piangere... Lei è un mio mito». 
J-Lo? 
«Ho sbagliato tempo. Le avrò detto tre parole, poi è arrivato Ben Affleck e lei mi ha messo da parte. Ci sta. Quando si sono baciati, mi sono voltata perché mi imbarazzava guardarli». 
Almodóvar? 
«Sognavo di incontrarlo: nessuno come lui racconta le donne. Ho una foto insieme!». 
Sorrentino? 
«Con i suoi attori si siede vicino al mio tavolo. La mia agente suggerisce di andarlo a salutare, ma mi vergognavo. Infine mi avvicino: sono la madrina, vi do ufficialmente il benvenuto. E lui: ma quindi giri i tavoli tipo ai matrimoni? Sì, dopo ti porto i confetti! Tutti a ridere». 
Con lui farebbe una scena di nudo come Luisa Ranieri in «È stata la mano di Dio»? 
«Non lo so, ho un forte senso del pudore, mi ci dovrei trovare. Luisa è stata coraggiosa, ma era nelle mani di un maestro. Però dipende soprattutto dalla storia. Se si può evitare, se non è indispensabile, mi faccio proteggere». 
Come nella serie tv «Mina Settembre»: in una scena d’amore ha la controfigura. 
«Fu la regista Tiziana Aristarco a proporlo, conoscendomi. In questa famosa scena con Giuseppe Zeno ero al monitor e dicevo: meno, meno, che mia nonna penserà che sono io!». 
Suo figlio «Dieghino» si chiama così per Maradona?  
«Il papà ha nome e cognome che iniziano con la D (l’attore Davide Devenuto, ndr) e ci piaceva questa cosa. Diego sembra uno simpatico, con la cazzimma, sveglio. E poi ci sta pure Maradona: sul frigo abbiamo una sua bellissima foto in bianco e nero, con gli occhi chiusi e la palla sulla testa, mentre si allena». 
Tifate Napoli? 
«Davide e Diego tifano Juve. Quella foto c’è perché quando è morto Maradona ero a Roma e non ho potuto partecipare al lutto collettivo della mia città. Così la domenica dopo mi sono alzata, ho preparato il ragù in suo onore e ho appeso la foto. Certe cose le puoi capire solo se sei di Napoli. Come per Pino Daniele». 
Quella volta dov’era? 
«In barca a vela ai Caraibi per Capodanno. Allora ho fatto mettere allo skipper Napule è a palla, in mezzo al mare». 
A Napoli è appena tornata per girare «Mina Settembre 2», senza Davide e Diego. 
«E senza la tata con suo figlio. Diego ormai è grande, sarebbe stato egoistico sradicarlo. Torno a Roma nel weekend, con lui ci videochiamiamo ogni sera: disegniamo, gli leggo un libro, facciamo le costruzioni». 
Ci pensa a un altro figlio? 
«Diego me lo chiede sempre, però maschio! Questo pensiero mi commuove: non vorrei lasciarlo solo. È un momento frenetico della mia carriera, ma penso che abbiamo seminato così tanto che posso permettermi una pausa». 
In fondo ha concepito Diego quando la carriera stava decollando ed è andata bene. 
«In tanti mi dissuadevano, ma non ho mai creduto a questa cosa che una mamma non può più lavorare. Certo, sono privilegiata: se dovevo allattare, sul set facevano una pausa». 
Quale personaggio le è rimasto dentro? 
«Mia Martini. Ho lavorato con una coach sul canto e con un’altra sulla recitazione, per studiarne risata, postura, piccoli gesti». 
Loredana Bertè? 
«L’ho incontrata alla conferenza stampa, durante le riprese non ci eravamo mai viste. Temevo il suo giudizio, invece mi ha abbracciato: “Si vede che le hai voluto molto bene”». 
È andata a trovare Mia Martini in cimitero? 
«No, però parlavo con lei e sono successe cose strane. Sono diventata amica della sua migliore amica, Alba. Una volta a casa sua all’improvviso si è spenta la luce e lei ha detto: questa è Mimì. Le riprese le avevamo iniziate il 14 maggio, lo stesso giorno in cui fu trovata morta: non è una coincidenza». 
La sorella Olivia le ha regalato una chitarra. 
«Gino Paoli l’aveva regalata a Mia nel ‘75, una Ramirez del ‘72, con la custodia con gli adesivi dei suoi cantanti preferiti, da Ivano Fossati ai Supertramp. Provo a suonarla». 
Ora è al cinema con Elisabeth Gay, la prima moglie di Diabolik. 
«Quando mi hanno chiamato i Manetti erano un po’ titubanti perché non mi stavano offrendo un ruolo da protagonista. Scusate, ho detto, ma come vi è venuto in mente che potessi fare Eva Kant? Miriam Leone è perfetta!». 
È stato divertente? 
«Marco e Antonio sono due fratelli che lavorano insieme ed è esilarante vederli litigare anche su cosa si mangia la sera. Una volta, sui colli bolognesi, hanno discusso 40 minuti perché Antonio voleva ordinare da McDonald’s a Bologna e Marco no perché sarebbe arrivato tutto freddo. Sul set non c’erano cestini, ogni sera si mangiava diverso: coreano, cinese, persiano». 
Fa tanta tv. Paura per gli ascolti? 
«Li aspetto passando l’aspirapolvere. Da Mina Settembre. Ero nervosissima, dicevo a Davide: se faccio il 20 è un miracolo. Quel lunedì cominciarono ad arrivare i messaggi sul telefonino: din, din, din. E Davide: ma non li leggi? Guardò lui per me: avevamo fatto il 24!». 
Sanremo le piacerebbe? 
«Certo, da piccola guardavo Baudo dal divano e sognavo di fare la valletta mora». 
È la testimonial della terapia genica Car-t sui piccoli pazienti tumorali. 
«La popolarità può essere messa al servizio di cose importanti. Ho letto una favola ai bambini che si sottopongono a questa cura: è l’ultima speranza per chi di speranza non ne ha». 
Il momento più felice della sua vita? 
«Troppo facile: la nascita di Diego». 
Parto naturale? 
«Cesareo, una settimana dopo il termine: pesava 4 chili. Ma è stato bellissimo perché ho cantato tutto il tempo repertorio napoletano».  
E i medici non le dicevano nulla? 
«Uno mi chiedeva Maruzzella. A un certo punto annuncio: e ora io e il papà vorremmo dedicare una canzone a questo bimbo che sta per nascere: Tu si’ ‘na cosa grande pe’ mme (la intona, ndr). E poi mi dicono: tra 20 secondi il bimbo è fuori. Allora ho smesso: ricordo gli occhi verdi di Davide nei miei, poi niente più».