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 2021  dicembre 22 Mercoledì calendario

Intervista a Massimo Ranieri

A 25 anni dalla sua ultima partecipazione Massimo Ranieri torna al 72° Festival di Sanremo con Lettera di là dal mare con testo e musica di Fabio Ilacqua. La presenza di un grande della musica e del teatro italiano come Ranieri ha scatenato la curiosità del pubblico per molti motivi e tra questi c’è la sfida diretta con l’amico/nemico Gianni Morandi.
Una sfida che ha diviso l’Italia per buona parte degli Anni 60.
«Assolutamente. Eravamo come Rivera e Mazzola, Adorni e Gimondi, due cantanti amici/nemici che vivevano di una rivalità sana, fatta di canzoni che la gente imparava a memoria e che, l’una per l’altra, potevano vincere Canzonissima o il Festival. Il pubblico rivedrà all’Ariston due ex ragazzini rimasti giovani dentro. Quando ho saputo che eravamo entrambi in gara ho sentito Gianni che mi ha detto: "andiamo a divertirci, sarà una settimana pazzesca". Lo spirito sarà questo, ma sempre con un’ansia spaventosa e una paura fottuta».
La sua è stata una scelta davvero inaspettata e con la sua storia non ha certo bisogno dell’Ariston. Cosa l’ha spinta a gareggiare?
«Quel posto ha un fascino incredibile e il festival l’ho sempre seguito. Anche quando avevo delle recite a teatro tornavo in albergo e mi guardavo le ultime sei, sette canzoni e la grande finale sino alla celebrazione del vincitore. Sanremo per anni è stato molto pericoloso, o almeno così ci dicevano i discografici, potevi bruciare una carriera in pochi minuti. Poi per anni c’è stata l’eliminazione anche se fortunatamente non mi è mai successo ma ora voglio respirare quell’aria, l’emozione che ho vissuto 50 anni fa e oggi sento già dalla mattina quando mi alzo alla sera quando vado a letto».
La sera della finale di Sanremo Giovani, ha detto che non vede l’ora di fare ascoltare Lettera di là del mare.
«Esattamente. Quando l’ho provinata su di me ha avuto lo stesso impatto che ebbe Perdere l’amore. A quei tempi ricordo che stavo recitando per Pietro Garinei e gli dissi che mi avevano proposto un pezzo fantastico per Sanremo. Garinei, con la signorilità che lo contraddistingueva disse: "Se la canzone le piace così tanto vada pure, fermeremo le repliche e aspetterò il suo ritorno". Vinsi».
L’Ariston è un posto magico.
«Il festival è l’Oscar americano e stare lì sopra è il massimo dell’emozione».
Nel suo ultimo libro Tutti i sogni ancora in volo si intuisce la sua perenne ricerca di qualcosa, di un traguardo.
«L’arte mi ha insegnato a essere curioso. Non mi stanco mai di guardare avanti e avere il coraggio di scoprire cosa c’è dietro l’angolo. Sono un uomo che cerca di sapere sempre cosa c’è dietro l’angolo anche con tutti i perigli che comporta. La curiosità mi tiene vivo».
E lei a 70 anni ha lo stesso entusiasmo degli esordi
«Le racconto una cosa: da giovanissimo imparai a camminare sul filo e insieme a me c’era un altro ragazzino che faceva il provino sotto il tendone di un circo della famiglia Orfei. Ero un po’ imbranato e sentii il maestro dire a sua moglie: "questo è uno che sul filo non ci andrà mai". Da quel momento mi sono allenato 8 ore al giorno e diventai bravissimo. Bisogna vincere le proprie paure anche se non tutte si vincono nella vita e molte rimangono. Tocca combattere, sempre».
Dall’alto della sua esperienza come guarda il mondo della musica di oggi?
«I giovani parlano un altro linguaggio rispetto a noi e lo accetti o non lo accetti. Alcuni rapper dicono cose che ai miei tempi si pensavano ma non si aveva il coraggio dire».
Quali sono stati i momenti più belli e più brutti della sua carriera?
«Belli, la prima vittoria al Cantagiro del ‘67 e l’aver conosciuto Giorgio Strehler. Un incontro che ancora mi porto dentro dopo 40 anni. Quando lasciai il Piccolo mi disse: "Abbandoni tuo padre" e mi misi a piangere. Ferite? Tante e difficile ricordarne una in particolare ma mi hanno dato forza e coraggio di arrivare dove sono».
C’è una grande donna della musica italiana con cui vorrebbe duettare?
«Con Mina sarebbe bellissimo e una scoperta che mi piacerebbe affrontare».