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 2021  dicembre 22 Mercoledì calendario

Il ritorno del carbone

Il metano costa sempre più caro: sotto l’azione combinata del Generale Inverno, della crisi ucraina e del ritardo nella certificazione del gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2, ieri il prezzo di riferimento del gas in Europa (contratto Ttf olandese) ha fatto un balzo del 22%, fissando in chiusura il nuovo record di 180,34 euro per MegaWatt/ora, e durante le contrattazioni ha toccato quota 187,20.
Intanto la transizione verso le energie verdi fa due passi avanti e uno indietro: non è un processo lineare, procede a strappi. Così in questi giorni in Italia sono state riaccese temporaneamente, per necessità di sistema, due centrali elettriche alimentate a carbone e finora messe “in sonno” in quanto forti produttrici di CO2: si tratta dell’impianto dell’Enel a La Spezia e di quello del gruppo A2A a Monfalcone (Gorizia); da notare che per entrambe è già prevista la riconversione a gas, e nel caso di La Spezia l’addio definitivo al carbone è fissato a scadenza brevissima, addirittura il prossimo 31 dicembre, mentre A2A ha avviato l’iter autorizzativo per passare al metano e completerà l’operazione in data non determinabile, da qui al 2025, quando tutte le centrali italiane a coke dovranno essere spente.
Facciamo il punto: la conferenza globale Cop26 ha appena fissato nuovi impegni di decarbonizzazione, peraltro già svalutati come “bla bla bla” da Greta Thunberg, eppure l’Italia in questi giorni innesta la retromarcia rispetto a quegli obiettivi, riavviando due impianti produttori di CO2: come mai questa contraddizione? La società Terna, che gestisce le linee elettriche italiane ad alta e altissima tensione ed è responsabile dell’equilibrio complessivo del sistema, lo spiega con necessità contingenti: in vista di una possibile ondata di freddo (che aumenta i consumi di energia) e in previsione dello spegnimento per manutenzione di 4 centrali elettriche in Francia (nostra fornitrice abituale di elettricità) Terna ha sondato la disponibilità delle compagnie elettriche, chiedendo loro di rendere disponibile, per precauzione, un po’di potenza supplementare; e Enel e A2A hanno risposto a questa specie di chiamata alle armi rendendo disponibili gli impianti di La Spezia e Monfalcone.
Questione chiusa allora? Sì e no. Per quanto il caso di queste due centrali sia circoscritto e giustificato da esigenze temporanee, è tutto il sistema-Italia che si sta allontanando dagli obiettivi della decarbonizzazione, secondo quanto emerge da un rapporto dell’Enea (l’agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile). Lo studio denuncia un netto peggioramento (-35%) dell’indice Ispred, elaborato dall’ente per misurare il ritmo della transizione verde. In parte questo era scontato, visto che è in corso un rimbalzo economico post-pandemia, che comporta (inevitabilmente) anche una certa risalita dei consumi energetici; ma non è fisiologico che le nostre emissioni si discostino dalla media europea, eppure sta succedendo proprio questo: Francesco Gracceva, il ricercatore dell’Enea che ha curato l’analisi, dice che «in Italia nel 2021 i consumi di energia e le emissioni crescono più del doppio della media dell’Eurozona», allontanando il nostro Paese dagli obiettivi Ue di decarbonizzazione (emissioni -55% entro il 2030). Del resto non siamo l’unica pecora nera in Europa: il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli (peraltro scettico sugli obiettivi europei, che giudica un po’ troppo impegnativi e ambiziosi), segnala che «in Germania quest’anno l’utilizzo del carbone è in crescita del 30%», anche in relazione all’addio all’atomo. E fuori dall’Europa va decisamente peggio, basti pensare alla Cina che costruisce sempre nuove centrali a carbone.
Le aziende industriali italiane, e in particolare quelle che consumano più energia, pur se impegnate nell’obiettivo di tagliare le emissioni a medio/lungo termine si pongono, in questi giorni, un problema di sopravvivenza immediato, legato ai prezzi dell’elettricità e del gas che rischiano di strangolarle. Ieri Federacciai (le imprese siderurgiche) denunciava che «la situazione del nostro settore è molto critica, tanto che diverse aziende sono a rischio chiusura».