Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  dicembre 22 Mercoledì calendario

Jasmine Trinca si racconta

Un caffè doppio, il ciuffo di capelli scolorito che incornicia di sbieco il viso fresco, un cappottone grigio che si stringe addosso. Jasmine Trinca, 40 anni, fa una pausa dal montaggio del suo primo lungometraggio da regista per parlare di Supereroi , film che il regista Paolo Genovese definisce «sentimentale con licenza di dramma», tratto dal suo romanzo omonimo. In sala da domani con Medusa. Due storie intrecciate, distanti dieci anni, con gli stessi protagonisti: una fumettista e un professore di fisica, Alessandro Borghi. La passione degli inizi, gli alti e bassi, il passare del tempo, le tentazioni e le sfide, gli addii, la malattia, l’amore.
Com’è arrivata al film?
«Avevo fatto la scemenza di bucare un film importante di Paolo per altri impegni (Perfetti sconosciuti , ndr ).
Ci siamo incontrati tante volte, nello stesso bar di Testaccio, mi raccontava le sue storie e stavolta ho pensato, sì. Aveva già pensato a Borghi e me. Amo i film romantici e il cinema di Paolo ha sempre un’idea, stavolta quella di come il tempo ci trasforma. Nel film ho cercato di raccontare come cambia un corpo, una donna, un entusiasmo, le cose in cui si crede e in cui ci si proietta, compreso un figlio. Una storia in apparenza normale, che mi ha permesso di fare cose diverse».
Con Borghi c’è sintonia grande.
«Ci siamo conosciuti ai tempi di
Non essere cattivo , ero lì perché amica di Valerio (Mastandrea, ndr ), ho seguito il film da vicino.
Alessandro mi aveva colpito, come una vecchia zia gli avevo detto che ho visto pochi attori tirare fuori un pianto come faceva lui. Il primo film insieme è stato Fortunata , tra i personaggi c’era un’amicizia carica di erotismo. E poi Sulla mia pelle , eravamo fratelli, lui aveva il film sulle spalle. Anche per l’incontro con Ilaria Cucchi, occupa un posto speciale nel mio cuore. Con Ale c’è sintonia profonda. Non ho particolari pudori rispetto al corpo, ma ce l’ho per le emozioni e con lui mi basta stare occhi negli occhi».
Ha girato “Profeti”, il nuovo film di Alessio Cremonini.
«Sì, ho una profonda stima per Alessio. Qui sono una giornalista italiana rapita in Siria e tenuta prigioniera a lungo da un’altra donna. Una storia sull’Isis, un incontro tra due culture e credo diversi, un’idea di libertà e appartenenza. Lo abbiamo girato in Puglia, durante la pandemia».
I film romantici preferiti?
« Come eravamo , Se mi lasci ti cancello . E poi Quattro matrimoni e un funerale e Notting Hill . Sono la spettatrice del pomeriggio con la coperta. DiSupereroi mi coinvolge l’innamoramento, l’incontro pazzo, senza regole, in cui non sei in grado di governare niente».
Si lascia trascinare dalle cose?
«Seguo più l’istinto che la ragione».
Si sente libera?
«Adesso sì, ma l’ho conquistata col tempo. Non ero una ragazzina libera, malgrado avessi un grande esempio di libertà alle spalle, da mia madre. Pensavo di dover corrispondere a un certo tipo di richiesta: da attrice sei e vuoi essere guardata, cerchi l’approvazione del regista e del mondo. Col tempo ho capito che è meglio corrispondersi, anche a costo di non piacere».
Il rapporto con sua figlia Elsa?
«Da piccola era “che bello mamma racconta di me”, dopo i 12 non ha piacere che la nomini. Ora non vuole che canti, o balli perché si vergogna, mi ha anche detto “sei vecchia, stai al tempo degli hippie”. Sta crescendo».
Lei ha iniziato giovanissima. I registi che l’hanno segnata?
«Moretti ha visto qualcosa in me, che non era il talento, mi ha aperto le porte e dato una visione di quel mondo. A Marco Tullio Giordana e La meglio gioventù devo il fatto che i ragazzi ancora mi fermano per quel film. Castellitto mi ha fatto toccare note che non sapevo di avere. Di Valeria Golino mi ha affascinato lo guardo sulle cose».
Sta montando il suo film.
«Come nel corto Being my mom , parto da un vissuto personale che trasfiguro, ci sono una madre e una figlia, Alba Rohrwacher e Maayane Conti. Prodotto da Olivia Musini, fotografato da Daria D’Antonio, scritto da Francesca Manieri. Un bel gruppo di donne».
Nel 2022 saranno 5 anni dal MeToo. Cosa resta di quell’esperienza?
«Molto. Per Annie Ernaux la maggioranza chiama eccesso quella che è la voce lecita di una minoranza. Il femminile non lo è, ma culturalmente viene ritenuto tale. Ora è difficile che un uomo faccia una molestia senza pensare agli effetti. E c’è un cambiamento importante nella produzione di audiovisivo».
Quali etichette si è tolta?
«Ho sempre pensato che, arrivata la fortuna di poter incarnare un immaginario, avrei cercato di raccontare un femminile diverso dallo stereotipo. Da un certo punto in poi l’ho fatto anche grazie allo sguardo di registi e registe; spostare il femminile rassicurante verso altro. Non solo fidanzate carine e gentili, ma anche pazze, sciagurate».
I fallimenti?
«Le cose non compiute fino in fondo. Ho fallito con l’università e con quella politica in cui credevo, l’impegno rispetto al femminile, che non ho portato a compimento. Dovevo dare di più».
La sua migliore amica?
«Olivia Musini, ci siamo conosciute quando ero al primo film. Pensai “questa è una che rompe”, invece siamo legate e mi commuove che lei abbia prodotto il mio film».
Che farà a Natale?
«Mi do da fare, perché Elsa ci tiene.
La fine dell’anno mi fa pensare al futuro. Sento intorno a me la voglia di ritrovarsi, ma anche rabbia e frustrazione. Bisogna buttare tra la roba vecchia l’egoismo e regalarci l’inclusione».
A che penserà nel brindisi di fine anno?
«A parte che ci arrivo sempre un po’ ubriaca, mi piace brindare al cielo pieno di stelle».