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 2021  dicembre 21 Martedì calendario

Ritratto al vetriolo di Marcello Pera

“Pure Pera!” mi telefonano allarmati amici da Lucca, città delle 100 chiese. “Ma davvero potrebbe salire al Colle?”.
Potrebbe.
“Allora sarà uno spasso”.
Hanno ragione. Perché in opposizione al suo sguardo perennemente annuvolato e al suo carattere scostante, mette sempre di buonumore ascoltare l’ex presidente del Senato Pera, ragionier Marcello, quando dice: “Siamo ai cascami della civiltà, alla civiltà delle catacombe”. I suoi giudizi sono filosofia in purezza travestiti al punto da sembrare battute. Tra le migliori: “Berlusconi è uno dei grandi statisti del nostro secolo”. “Il futuro del centrodestra è Salvini con la cravatta. Lo giudico serio, duttile, affidabile”. “Borghi e Bagnai? Simpatici”. “La sinistra odia la nostra cultura e la nostra civiltà a tal punto che è disposta a consegnarla all’Islam”. E ancora: “Ratzinger è stato un faro che ancora manda luce”. Mentre “con Bergoglio, purtroppo rischiamo lo scisma”. Dove il “noi” indica la cristianità intera.
E mette di buon umore rammentare la disinteressata avventura dei cosiddetti “professori” – oltre a Pera, i filosofi Lucio Colletti e Vittorio Mathieu, il politologo Saverio Vertone, lo storico Pietro Melograni – che come la pattuglia dell’alba decollarono un giorno del 1996 al seguito della scia luminosa di Silvio B che per convincerli a candidarsi con Forza Italia e le ragazze Coccodè al seguito, non usò convegni né tesi appese alla porta della cattedrale di Arcore, bastò mandarli a prendere con la Mercedes, l’autista e i pasticcini, dissolvendo in quell’omaggio, anni di ingrati studi e solitudini.
Per tutti la trasvolata durò il tempo di una candidatura o due, fino al risveglio. Tranne che per uno, il nostro Marcello. Dove “nostro” indica l’intera Repubblica, visto il suo inatteso atterraggio sulla poltrona della seconda carica dello Stato, la presidenza del Senato, anno 2001, dove sbalordì per l’audacia intellettuale fin dal discorso di insediamento, quando disse che “per governare occorre argomentare, convincere”, almeno fino a quando la minoranza “argomentando e convincendo”, ma anche “confutando e criticando”, diventa maggioranza.
Come il suo amico Lucio Coletti, eretico marxista e rivoluzionario di massima eleganza in numerose terrazze romane, anche Marcello aveva il cuore a sinistra, sebbene con meno allegria e nessuna mondanità. Ovvio. Era nato nell’anno 1943 nella remota provincia di Lucca, “città inerme, città codarda”. Figlio unico di padre ferroviere, madre casalinga. Modesto diploma in Ragioneria che lo condusse all’impiego presso la Banca Toscana, dove incontrò, argomentò e convinse, la sua futura moglie, Antonia Tomei, che era anche il suo capoufficio. Fu il suo volenteroso carattere a spingerlo a laurearsi all’Università di Pisa, facoltà di Giurisprudenza, dove gli accadde d’incontrare quell’altro fil di ferro che era lo studente D’Alema Massimo, ricordandolo in perpetuo “affetto da una discreta dose di supponenza”.
Lasciate le addizioni contabili, si occupa dell’empirismo di Hume, dell’etica di Kant, della società aperta immaginata da Karl Popper. Studia con la passione del riscatto. Vince la cattedra di Filosofia Teoretica a Catania. Poi Pisa. Negli anni 80 si invaghisce del decisionismo di Craxi, come capitò a molti timidi. Poi ci ripensa, voltando l’ammirazione nel suo contrario. Esordisce come commentatore politico tra i più intransigenti – sul Messaggero, La Stampa, L’Espresso – compiendo curiose traiettorie circolari che lo mandano da sopra a sotto, da sinistra a destra, sempre confutando e criticando. Le celebri traiettorie “a forma di pera” (Cesare Musatti, lo psicoanalista, dixit) tipo: “Laico è chi non crede, laicista è colui che crede che chi crede non abbia alcuna ragione per credere”.
Quando Tangentopoli fa naufragare la Prima Repubblica, imbraccia il remo per darlo in testa ai naufraghi. Scrive: “Occorre una vera, radicale, impietosa epurazione”. “I partiti devono retrocedere e alzare le mani. E senza le furbizie che accompagnano i rantoli della loro agonia”. “I giudici devono andare avanti”. “Il garantismo, come ogni ideologia preconcetta, è pernicioso”. “Il processo è già cominciato e, per buona parte dell’opinione pubblica, già chiuso con una condanna”. E Craxi? “Quei politici che come Craxi attaccano i magistrati di Milano, mostrano di non capire la sostanza grave, epocale del fenomeno”. E il Berlusconi nascente? “Berlusconi è a metà strada tra un cabarettista azzimato e un venditore televisivo di stoviglie, una roba che avrebbe ispirato e angosciato il povero Fellini”.
Ma quando due anni dopo l’azzimato venditore lo manda a chiamare, ecco che l’intera batteria di stoviglie con fondo antiaderente lo conquista, lo cuoce, insieme con il seggio sicuro. Cambia idea su tutto. Cominciando da quel che brucia di più i sonni del suo cabarettista benefattore, la giustizia “da riformare in radice”, i magistrati “che hanno esaurito il credito ma continuano a sparlare”, i processi “da interrompere per le alte cariche istituzionali”. Diventa buon amico di Denis Verdini e Marcello Dell’Utri. Corre a Rebibbia ad abbracciare Cesare Previti appena arrestato e lo festeggia 4 giorni dopo, appena liberato. Ha un debole per Giuliano Ferrara e Matteo Renzi. Disprezza la sinistra “che è diventata un’antologia di Spoon River”. Detesta i cinque stelle, ricambiato. Protesta contro lo stato di emergenza dichiarato dal Conte-2: “Tutti a casa è rimedio salutare per i medici. Ma è veleno per le istituzioni”. Avverte: “Siamo nel clima adatto per scivolare dentro lo Stato totalitario”. Un anno dopo, cioè oggi, applaude Mario Draghi che fa le stesse cose: “Draghi è la nostra fideiussione bancaria”. E non contento considera Matteo Salvini “un vero leader di governo.
Nel frattempo si è candidato anche lui alle riforme costituzionali. Più o meno le stesse che nel 2003 i saggi Roberto Calderoli e Giulio Tremonti immaginarono nella remota baia di Lorenzago, cuocendo polenta con le spuntature e guardando insieme le stelle del Cadore. Lo annunciò la scorsa estate, dal suo palazzo a Lucca con vista sui monti pisani: “Ho preparato un agile articolato di riforme”, disse. Qualche pagina e un cacciavite per raddrizzare tre cose da nulla: “La giustizia, la forma di governo e la forma dello Stato”. Spedì l’agile articolato “a diverse personalità”. Era luglio, faceva molto caldo, e purtroppo nessuno rispose.