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 2021  dicembre 21 Martedì calendario

Su 65 cronisti detenuti nel mondo, 44 si trovano a Damasco

Rischiano la vita con un computer portatile e una macchina fotografica al collo. Oppure, con i loro pezzi di giornale, sfidano quotidianamente dittature e censure in regimi totalitari. Oggi, per i giornalisti, l’area geografica più rischiosa è il Medio Oriente, dove sono tenuti in ostaggio 64 dei 65 cronisti detenuti in tutto il mondo.
Secondo un’indagine di Reporters sans frontières, la Ong fondata nel 1985 in Francia che promuove e difende la libertà d’informazione, attualmente sono 65 i giornalisti ancora in ostaggio, di cui 64 divisi tra Siria (44), Iraq (11) e Yemen (9), oltre al giornalista francese Olivier Dubois, che da aprile è prigioniero in Africa. In Siria la più grande minaccia attuale proviene da Hayat Tahrir al-Sham, un gruppo militante che controlla l’area settentrionale di Idlib e che tiene in ostaggio sette reporter. Nel 2021 la stessa organizzazione ha rapito altri quattro giornalisti.

Il rapporto di Rsf diffuso lo scorso giovedì evidenzia che oggi ci sono 488 professionisti dei media imprigionati in tutto il mondo, il numero più alto da quando l’organizzazione non governativa per la libertà di stampa ha iniziato a divulgare il dossier. Al contrario, il numero delle vittime di quest’anno, 46, è stato il più basso proprio a causa della relativa stabilizzazione dei conflitti mediorientali. Secondo l’Ong francese, il calo del numero di morti dal picco del 2016 riflette le mutevoli dinamiche in Siria, Iraq e Yemen, dove la riduzione delle guerre interne ha spinto un minor numero di giornalisti a recarsi sul posto. Il 65% delle vittime, si legge nel documento di Rsf, è stato «deliberatamente preso di mira ed eliminato». Una vera e propria esecuzione.
Tra i casi più eclatanti in Medio Oriente evidenziati da Reporters sans frontières c’è la condanna congiunta più lunga di quest’anno inflitta a un cronista: si tratta di Ali Aboluhom, un reporter di origine yemenita che è stato condannato a 15 anni di carcere in Arabia Saudita per alcuni tweet che, secondo le autorità saudite, sono stati utilizzati per diffondere «idee di apostasia, ateismo e blasfemia».

Uno dei due giornalisti più anziani detenuti è Kayvan Samimi Behbahani, 72 anni, tenuto in ostaggio in Iran. Caporedattore del mensile Iran Farda e presidente dell’Associazione per la difesa della libertà di stampa, Behbahani, nel dicembre del 2020, è stato condannato a tre anni di carcere con l’accusa di «propaganda antigovernativa».
Una sorta di tribunale del popolo per ottenere giustizia per i giornalisti assassinati è stato aperto all’Aia il mese scorso per difendere la libertà dei media in un’epoca di crescente autoritarismo e populismo. Il tribunale è stato organizzato da Free press unlimited, Committee to protect journalists e dalla stessa Rsf. Le udienze, della durata di sei mesi, si concentreranno sui casi irrisolti di tre giornalisti assassinati in Messico, Sri Lanka e Siria. Sebbene non abbia poteri legali per infliggere condanne, il tribunale mira a sensibilizzare, fare pressione sui governi e raccogliere prove attraverso quella che chiama la sua «forma di giustizia di base».