Linkiesta, 21 dicembre 2021
I non scopanti
C’è quella vignetta di Altan, in cui il tapino sta seduto in riva al fiume ma «passano solo amici». È un retropensiero fisso di noialtri cui piace atteggiarci a minoranza, noi che sappiamo che le idee giuste sono le nostre ma abbiamo iniziato coi dischi d’infanzia a rassegnarci e «la ragione diamo, e il vincere, ai coglioni, oppure ai bari».
E poi c’è la settimana da poco conclusa (ma chissà se conclusa), che sembra un dialogo con Leucò: «Questi, ubriachi, avvelenati, inferociti, l’hanno sbranato sulla siepe come un capro e poi l’hanno sepolto perché fosse altro vino. Lui lo sapeva e l’ha voluto. Doveva stupirsi la figlia, che aveva gustato quel vino?». Il vino è Michela Murgia, il vino è Tlon. È stata una settimana di degustazioni.
Tlon è un interessante picco di velleitarismo postmoderno, editori indipendenti di filosofia (quand’ero piccola sentii Stefano Bonaga dire «filosofo è chi influisce sulla storia del pensiero», e continuo a crederci nonostante la mia intera vita adulta l’abbia trascorsa a sentire qualunque laureato in filosofia definirsi «filosofo»), piacciono alla gente che piace, fanno le cose giuste (sono una coppia, lei una volta ha pianto in diretta Facebook e questo è tutto ciò che ho da dire sul suo contributo alla storia del pensiero).
Pubblicano un libro intitolato I corpi astinenti. Poiché piacciono alla gente che piace, e la gente che piace i libri li riceve in omaggio, il saggio francese vende 123 copie in due settimane. Il mio sillogismo è una forzatura, spesso i loro libri vanno assai meglio, e io ancora non mi sono ripresa dallo smacco della volta in cui un loro libro mi superò in classifica. Ma basta divagare. I corpi astinenti.
È un libro che parla di quelli che non scopano per scelta. No, non noi pigri: quelli che ne fanno un’ideologia. Tutto oggi è scelta identitaria, vi pare che possa non esserlo non scopare? Poiché Tlon è fondata sul lusingare i suscettibili, manda il libro ad alcuni non scopanti (ci sono delle pagine gialle dei non scopanti? Come li si trova? Hanno una spilletta distintiva?). I non scopanti – che nella neolingua identitarista si chiamano asessuali – si offendono moltissimo giacché, e qui dimostrano di sapere come funziona l’editoria più o meno quanto io so come funzionano i gironi della Champions, ritengono che l’editore che ha comprato un testo straniero e l’ha tradotto avrebbe dovuto apportare delle modifiche per renderlo più ricevibile dai non scopanti che lo ritengono offensivo (loro dicono «triggerante», perché oltre a non sapere l’editoria non sanno l’italiano).
E qui arriva il problema: Tlon non può dire loro «ma non rompete i coglioni», perché fa parte di tutto quel postmodernismo fondato sul dire al passante isterico che le sue obiezioni sono preziose, le sue istanze sono fondate, le sue isterie sono degne di rispetto. Sempre, anche se non sa un cazzo, specialmente se non sa un cazzo.
Quindi Tlon fa un post su Instagram, scrivendo del libro che «alcune delle testimonianze riportate sono risultate problematiche per alcune persone e ci dispiace per questo» («problematico» è tutto ciò di cui non si può dire «non sai spiegarmi perché ti dà fastidio, te lo spiego io: è perché sei cretino», nota di Soncini); «abbiamo fatto tesoro delle criticità emerse, avviando un dialogo interno con alcuni esponenti della comunità ace» (la «comunità ace» sono i non scopanti, ma il «dialogo interno» è il monologo di Molly Bloom? ndS); «organizzeremo un dibattito con persone asessuali, psicolog* e sessuologh*» (che se metti l’acca è femminile e l’asterisco te lo dai in fronte, ndS). Ma poi, perché in italiano «ace», cioè il modo in cui si pronuncia in inglese la prima parte di «asexual», e non «ase», che sembra meno candeggina e più asessuali?
I commenti a questo post sono la fiera del delirio. «Vi consiglio di cancellare questo commento, non vi rendete proprio conto». «Le persone della comunità ace hanno fatto presente che si riporta un episodio di ab*so e loro dicono “ma non è un saggio sull’asessualità”» (sì, scrivono abuso con l’asterisco, credo sia perché trovano traumatico leggere la parola «abuso»: li vedo bene a fare la rivoluzione, considerato che hanno paura dei rumori del frigo). I non scopanti vengono definiti «una comunità marginalizzata, che già deve subire minority stress e microaggressioni continue»; e io (io Soncini) vorrei rassicurare tutti a nome delle moltissime donne che hanno scopato a sufficienza da giovani e non vedono una ragione al mondo per continuare a vita a portare biancheria non slabbrata: stiamo benissimo; sono assai più stressati quelli che, fosse per loro, scoperebbero (e con cui a volte dividiamo pezzi di vita).
Ci sono anche quelli che ritengono una violenza (ettepareva) l’aver ricevuto il libro: «Dopo aver ricevuto DA VOI il libro come gifted (senza il mio consenso)». Bella di casa, dovresti usare lingue che conosci: scommetto che in italiano lo sai che un regalo per definizione non è una cosa che richieda autorizzazione.
E quelli indignati perché l’editore ha detto di voler dibattere con chi abbia letto il libro: adesso stai a vedere che per discutere d’un libro lo si debba leggere e non basti non scopare. «Non c’è stata alcuna volontà di contattarmi», lamenta una cui la vita aveva promesso che protestare su Instagram procurasse prebende.
Mentre questo tamponamento a catena era in corso, è arrivata una puntata di Morgana, podcast di Chiara Tagliaferri e Michela Murgia, sulle sorelle Wachowski (che furono fratelli Wachowski).
Tra i problemi del postmodernismo – le cui isterie Murgia ha nutrito assai più di Tlon, vendendo i suoi libri cifre per le quali io darei un rene, tutte le prime edizioni di Arbasino, e anche due Birkin – c’è l’inventare parole per inventare indicibilità. In questo caso la parola inventata è deadnaming. Ne avevo già scritto in occasione del caso Elliot Page, e c’è l’interessante precedente di Caitlyn Jenner, e i link esistono apposta per recuperare gli arretrati ed evitare ch’io mi ripeta.
Fatto sta che, se racconto una transizione, essa sarà avvenuta da qualcosa a qualcos’altro, e per raccontarla io dirò quindi che prima ti chiamavi Maria e ora Giuseppe. Le regole suscettibili, che ritengono le parole siano formule magiche che evocano mostri, dicono che se oso nominare la tua defunta identità commetto un crimine che neanche Mengele.
Nella sleppa d’interventi su Instagram, la parola «violenza» è stata usata con la lussuosa frequenza che può permettersi chi non conosce la violenza. È altresì interessante il fattore-Murgia, che ha diviso le proteste in due specie. Chi sa che ormai nel comparto delle celebrità suscettibili ci sono solo posti in piedi, e quindi tanto vale indignarsi con la Murgia come fosse una Natalia Aspesi che puoi insultare senza pagare pegno; e chi ancora spera in uno strapuntino, una consulenza, un «ricòrdati di me da ricca, io mi ricordo di te da povera».
Ricopio alcuni «coi tuoi piedi sulla mia testa» perché fanno più ridere delle indignazioni senza sfumature.
«Ovvio che Michela Murgia e Chiara Tagliaferri non sono persone transfobiche. Il problema non è questo. Il problema è non farsi assistere da esperti e consulenti» (ovviamente nell’originale si pluralizza con la schwa, anche «consulenti», parola notoriamente provvista di maschile e femminile, ndS).
«Il mio lavoro oltretutto non è fare polemica su insta post, ma dire alla gente come comunicare PRIMA. Per cui soffro» (fatele un contratto anche piccino picciò, mettete fine alle sue sofferenze).
«Prevenire l’errore di linguaggio, in questo caso consultando una persona trans per la scrittura dell’episodio» (è certamente una coincidenza che costui sia transessuale, e lo so non solo perché se lo scrive nella bio ma perché la sua pagina Instagram è tutt’una foto di lui con le cicatrici dopo che s’è fatto togliere le tette; in America sarebbe sulla copertina del New York Magazine, qui cerca di farsi notare da un podcast: longitudine crudele).
Anche Murgia e Tagliaferri rispondono (non rispondere è un lusso di chi non ha illuso il pubblico che la comunicazione fosse orizzontale), ma non come piace all’isteria collettiva. Dicono che sì, avrebbero potuto usare la schwa, ma un sacco di gente non avrebbe capito, e hanno scelto di fare un prodotto generalista e non per la nicchia isterica dell’Instagram (loro ovviamente non usano queste parole, è una mia liberissima traduzione).
È peraltro interessante che Murgia consideri potabile la schwa per i suoi articoli sull’Espresso e non per il suo podcast. Ma non quanto è interessante la domanda: sarà questa la settimana della scissione tra le isteriche gratuite e le pensatrici retribuite? Quella in cui non dico i suscettibili si sbraneranno tra loro (quello è più facile, e inevitabile), ma in cui si replicherà il concetto che in West Wing contrapponeva il presidente Bartlet al militante omosessuale miliardario: «Abito nel mondo della politica professionale, io; tu abiti nel mondo dei capricci adolescenziali»?
Di sicuro, la scorsa è stata la settimana in cui il comunicato ufficiale di Morgana, fin qui podcast preferito dai militanti dell’assenza di contesto e dell’imperdonabilità del pensiero non dogmatico, riportava le storiche parole «Accogliamo dunque le critiche, che sono motivate, ma chiediamo a chi ce le pone di considerare il contesto in cui le scelte sono state compiute». Sembra niente, sembra un’obiezione timida a un’istanza ragionevole. Ma se osservate queste dinamiche da abbastanza tempo sapete che è come se Ronald Reagan avesse detto in tv «ma sapete che ’sto socialismo reale, tutto sommato, pensavo peggio».