La Stampa, 21 dicembre 2021
La pasticceria di Giuseppe Mazzini
Era il locale della borghesia. Perfetto per Giuseppe Mazzini e i suoi carbonari, che a quei tavolini non avrebbero destato sospetti. Già, perché da quando Giovanni Preti l’aveva aperta, nel 1851, in quella sua Liquoreria passava tutta la città. Grandi e piccini, ipnotizzati dalla pubblicità delle «caramelle a macchina» e delle «portentose caramelle d’Egitto». Né mancavano ospiti di riguardo. Da Giuseppe Verdi a Gabriele D’Annunzio. Ben prima della costruzione di Palazzo Preti, nel 1935, «con grandi vetrine della pasticceria a piano strada e sala ricevimenti al primo piano». La produzione era ancora in centro città. Ma vendeva da Nord a Sud. Impossibile sintetizzare la storia di questa fabbrica, più antica dell’Italia stessa. Con una peculiarità incredibile. Se in 170 anni – appena festeggiati – è cambiato il mondo, sono rimasti identici i prodotti dell’azienda Preti oggi a Sant’Olcese, in Valpolcevera, una manciata di chilometri da Genova.
Con i suoi 25 fedelissimi dipendenti, nel 2021 la Preti fattura 3 milioni. «Siamo al 18% in più rispetto al 2020 e il 6% in più sul 2019» snocciola con orgoglio Angela Gargani, 52 anni, ad della fabbrica, della quale è responsabile commerciale Alfredo Breschi. «Il mio compagno – sorride – Ci siamo conosciuti quando lavoravo in un’azienda di logistica: tra i clienti c’era la Preti, poi rilevata da Alfredo e Paolo Gionfriddo, che ha venduto la sua quota nel 2003». Da allora, come nell’Ottocento – resiste l’intuizione geniale di Giovanni Preti: il Sacripante. «Si fa secondo tradizione, completamente a mano – scandisce l’amministratore delegato – Lo richiedono in tutta Italia: è una tradizione natalizia. Specie nel Lazio, in Sardegna a Carloforte e in Toscana». E proprio dalla Toscana, è arrivato l’omaggio più inatteso: un libro. «Anna Maria Vignali, che non conoscevo, ha scritto “Sacripante ti voglio bene”, per Frusca – racconta Angela Gargani – Un libro emozionale, che ripercorre la sua infanzia partendo da quel dolce tanto atteso, che arrivava da Genova». E che su YouTube è stato descritto allegramente: «Il nonno ubriaco della Fiesta». Gargani ci ride. Ma spiega che quel «pan di Spagna e crema, con cioccolato bianco, ricoperto da cioccolata fondente» – e altri ingredienti segreti – è arrivato «fino in Cina, con etichetta cinese certo». E pure «in Vietnam», dove è stato spedito insieme a 3.000 pandolci». Esportazioni bloccate dal Covid, purtroppo. Ma la produzione marcia a ritmi serrati «7 giorni su 7», spaccio compreso, per «sfornare quotidianamente 2.000 chili di canestrelli, 400 chili di Sacripante, fatto rigorosamente a mano e 2.200 chili di biscotti del Lagaccio». Anzi, «bis-cotti» scandisce l’ad. Spiegando che per realizzarli occorrono «36 ore di lavorazione», con una doppia cottura: bis-cotto, per l’appunto.
«Un lievitista, ogni notte rinnova il lievito madre: il vero tesoro dell’azienda». È affidato «a 4 figure, che alternandosi iniziano a lavorare verso le 19 e proseguono fino alle 6 della mattina successiva». Sabati, domenica e feste comandate. E se a chi lavora non stop «si cerca di dare riposo il sabato notte, nei momenti meno frenetici, con un break ad agosto», al lievitista no: non manca mai. Come quando la Preti si fregiava del marchio di fornitore della Real Casa e le prime spedizioni in giro per l’Italia erano alquanto avventurose.
«Un signore di 86 anni, che lavorava per la Preti, mi ha raccontato che caricava i pandolci sulla carriola per portarli all’ufficio postale», sorride Angela Gargani. Un viavai interminabile che segnava soprattutto le feste. «C’era il gusto della strenna natalizia, che ora si è un po’ perso, ma la passione è rimasta identica».
Come i nomi dei prodotti. Ma quel Sacripante, dove nasce? Imprecazione o eroe dell’Orlando Furioso? «Entrambe, forse. Si racconta che a Giovanni Preti alcuni monelli ogni tanto rubassero i biscotti appena sfornati e che lui li apostrofasse al grido di Sacripante. Ma c’è anche il personaggio dell’Ariosto: forte, nero e imbattibile. Come il Sacripante». Che tra i pasticceri, «prima di diventare capo della fabbrica», ha visto il padre del cardinale Angelo Bagnasco: «Ha mantenuto la famiglia così, con l’impiego da Preti».