La Stampa, 21 dicembre 2021
Vita da montatore-equilibrista
«Stare lassù è bellissimo e rischiosissimo. Adrenalina e concentrazione. Montare gru non è un lavoro per tutti: è un mestiere che va amato e non si deve fare per soldi. Io la penso così, se no rischi la pelle. L’incidente avvenuto a Torino mi ha fatto tanto male, quella di sabato scorso è stata una delle giornate più dolorose della mia vita professionale. Perché sono cose che non dovrebbero capitare: qualcosa è andato storto, c’è stata della negligenza. Conoscevo Marco perché ho più o meno la stessa età. Lo incrociavo talvolta nel magazzino dove di solito vado a rifornirmi di materiale. Siamo una piccola comunità. Ecco, siamo un po’ come gli indiani d’America che costruivano i grattacieli passeggiando sulle impalcature. Camminiamo su passerelle poco più grandi di un pacchetto di sigarette e non sappiamo cosa siano le vertigini».
Antonio Mella ha 56 anni: da 35 si arrampica sui tralicci delle gru, a quaranta, cinquanta, sessanta metri d’altezza. Si considera un decano del settore. Come lavoratore transfrontaliero, vive in Svizzera ma frequenta i cantieri italiani. Parla del suo lavoro con l’emozione di un ragazzo.
Com’è nata la sua passione per le altezze da brividi?
«Durante il servizio militare. Ero un alpino, assegnato alla riparazione delle teleferiche. In quel momento mi sono innamorato dell’altezza, dei lavori rischiosi. Tutta colpa dell’adrenalina».
Così è diventato montatore di gru. Com’è stato il primo giorno di lavoro?
«All’inizio non sapevo come muovermi ma ricordo perfettamente l’emozione. Ho subito capito che era il lavoro che faceva per me».
Che lavoro è quello del montatore di gru, ce lo spiega?
«Stare sulle gru, in quota, è fantastico. Vedi il mondo dall’alto, tutto piccolo ai tuoi piedi. Salgo alle 6 del mattino e scendo la sera. Quando sei lassù c’è silenzio, che si interrompe solo quando la gru è in funzione o i colleghi ti parlano durante le operazioni. Per il resto ti godi la vista. Ma serve concentrazione massima. Ci vogliono quattro occhi e talvolta non bastano. Non sono ammessi errori. Anche perché non ci limitiamo ad assemblare le gru, le ripariamo anche. Facciamo tutto noi. Se si rompe in cuscinotto e un motore andiamo in quota, troviamo il guasto e lo ripariamo. Alla sera, quando finisci, devi sempre portare a casa la pelle».
Come sono cambiate le dotazioni di sicurezza?
«Si usava un’imbracatura classica, niente di tecnologico. Adesso è tutto diverso. Soprattutto sono cambiate le autogru che usiamo nelle operazioni assemblaggio: una volta non valevano niente, oggi sono affidabilissime. A Torino è andato tutto storto, anche la sicurezza della strada».
Che cosa intende dire?
«In Svizzera non si lavora così. Si fanno sopralluoghi accurati prima di iniziare e poi si chiudono le strade alle auto e ai pedoni. Lavoriamo con materiali pesanti: da quaranta metri d’altezza anche un piccolo bullone può uccidere».
Qual è il momento più difficile di un montaggio?
«Ogni intervento è difficile in quota. Non c’è nulla di banale. Ad esempio quando devi recuperare un blocco o attaccarne un altro. Sei sempre tu che devi dare gli ordini a chi sta sotto. Mai perdere la concentrazione. Il tuo obiettivo è lavorare con la minor fatica possibile. Servono testa ed esperienza». Il posto più bello dove ha lavorato?
«A Lugano, alla costruzione del residence Parco Sant’Anna. Ero su una gru di 60 metri, direttamente sopra uno strapiombo di 120 metri con il lago davanti a me. Spettacolare. Un’emozione assoluta».
Mai avuto paura?
«Paura no, non l’ho mai veramente provata. Una volta però mi è capitato di preoccuparmi seriamente. Dovevo recuperare una gru che stava cadendo. Mi sono imbracato, mi hanno portato su con un’autogru ed ho lavorato sospeso. È stata dura ma ho salvato la situazione».
Ha mai rispedito a terra qualche collega?
«Sì, una volta. C’era un collega che era un bradipo, troppo lento, impacciato, esitante. Senza giri di parole gli ho detto che aveva sbagliato lavoro. Gli ho detto: "Se stai qui mi faccio male io e ti fai male tu". Lassù devi saperti muovere, se non lo sai fare metti in pericolo la tua vita e quella di chi lavora con te. Si cammina su dei binari, sempre sospeso nel vuoto».
E in famiglia? Che cosa dicono?
«Sono separato, la mia ex moglie era sempre preoccupata. Adesso lo è mia figlia che ha 28 anni. Spesso in apprensione per me».
Qual è la paga di un montatore?
«In Italia si va dai 2mila ai 2.200 euro più o meno. In Svizzera si arriva sui 4 mila euro. Ripeto, questo mestiere non si fa per soldi. Bisogna amarlo».