La Stampa, 21 dicembre 2021
Donne & lavoro, la ripresa non c’è
Una promessa tradita. Altro che chiacchiere o buoni propositi di attenzione all’universo femminile, ai suoi diritti, ai suoi problemi, alle sue richieste. Innanzitutto di lavorare e guadagnare al pari dell’universo maschile. Tutt’altro, il Covid sta accentuando le differenze. Un dato del 2021 su tutti: a beneficiare dei nuovi contratti attivati, gli uomini sono in maggioranza. Per le donne sono a tempo indeterminato solo il 14% dei nuovi contratti. E quando sono stabilizzazioni, appena il 38% è rosa.
Di contro, il 49,6% di tutti i contratti femminili è a tempo parziale, contro il 26,6% degli uomini. Morale: le differenze di genere si accentuano. E la ripresa nel 2021, a leggere il «Gender Policies Report» elaborato dall’Inapp, l’Istituto di analisi delle politiche pubbliche, «è una svolta mancata».
Eppure l’Europa ci chiede altro. Ci chiede di non lasciare ai margini la metà della popolazione attiva, sprecando talenti di cui l’Italia ha un disperato bisogno. È esattamente l’opposto, per dire, di quanto è scolpito nel Pnrr. L’Inapp certfica invece che le diseguaglianze aumentano anziché diminuire. Parlano ancora le statistiche dell’occupazione: 67,8% il tasso di occupazione degli uomini, 49,5% quello delle donne.
«Le criticità strutturali del mercato del lavoro per genere e età - si legge nel Rapporto - non solo non vengono superate ma si ampliano, soprattutto a causa dell’aumento dell’incidenza della precarietà occupazionale e del ruolo crescente del part-time involontario».
Non a caso, il picco di part-time femminile si nota soprattutto per le classi di età 30-50 e oltre-50 «che corrispondono alle fasi della vita in cui le esigenze di cura, rispettivamente rivolte ai figli e ai genitori anziani, rendono le donne le protagoniste assolute della sandwich generation». La generazione di donne schiacciate come un panino.
La ripresa stessa non avviene ad uguale velocita e con lo stesso modello in tutte le regioni italiane. Dato comune è che dappertutto i contratti stipulati a donne sono inferiori a quelli degli uomini. Però le donne sono un terzo del totale in Basilicata, Sicilia e Calabria; sono sotto il 40% in Calabria, Molise, Puglia, Lombardia, Abruzzo e Lazio; altrove si collocano tra il 41% e il 46,5%.
Le scelte, o meglio le imposizioni cui le donne devono sottostare nel mercato del lavoro hanno un immediato effetto nella vita e nella società. «In questo anno e mezzo di pandemia - spiega il professor Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp - le donne hanno dovuto affrontare uno stress test particolare, dovendo moltiplicare gli sforzi e spesso trovandosi di fronte al bivio di scegliere tra lavoro e famiglia».
C’è stato un rimbalzo quasi automatico sulla natalità. In un contesto socio-economico già caratterizzato da forti criticità, «l’irruzione della pandemia ha determinato un vero e proprio "baby bust", vale a dire un drastico calo delle nascite. Le ragioni d’origine vanno individuate nell’incertezza e instabilità lavorativa ed economica, nell’assenza di politiche efficaci di bilanciamento vita/lavoro, nei bassi tassi di copertura dei servizi di cura e nei bassi investimenti sui servizi di fecondazione medicalmente assistita». Ed ecco i risultati di tanta disattenzione al nodo del lavoro femminile, intrecciato alle crescenti esigenze di cura familiare che le donne sono chiamate a sopportare per l’assenza del pubblico.
Uno studio su alcuni Paesi europei nei primi mesi della pandemia ha mostrato come la crisi pandemica abbia cambiato i progetti di avere un figlio: mentre in Francia, in Germania, in Spagna e nel Regno Unito tali progetti sono per lo più rinviati, in Italia vengono in massima parte abbandonati.