Corriere della Sera, 21 dicembre 2021
Il concerto di capodanno secondo il direttore Fabio Luisi
Il concerto di Capodanno, ovvero: quando la musica è celebrativa. Fabio Luisi, lo dirige alla Fenice per la seconda volta.
Maestro, è un aspetto importante la cerimonialità nella musica?
«Non è imprescindibile ma è uno dei tanti aspetti, legittimo come gli altri. Fin dal ‘600, si celebrano la commissione di un’opera nuova, l’affermarsi di un compositore giovane, il matrimonio di un committente importante, un’occasione ecclesiastica. In questo caso celebriamo l’anno nuovo, con la speranza che possa essere migliore di quello passato, ma anche una tradizione importante della Fenice: stiamo uscendo (spero) da un biennio difficile, soprattutto per l’arte».
Qual è sul podio lo stato d’animo di un concerto celebrativo?
«C’è più attesa, un’atmosfera più festosa, più emozione».
I mille riti di un concerto fanno parte della dimensione celebrativa
«La forma è il perfezionamento del contenuto ma non è immanente, ha un’importanza a se stante: fa aumentare l’attenzione senza coinvolgere l’essenza musicale».
Il primo violino che entra per ultimo, i bis che nella sinfonica si eseguono solo in tournée, il direttore che fa alzare chi si è distinto…
«Il rito del primo violino non lo amo molto, è nato negli Stati Uniti e ha preso piede in Europa. Quando ho cominciato la carriera, all’inizio degli Anni ’80, non c’era».
Oggi il concerto è ingessato in regole che sembrano sacre…
«Ci stiamo incrostando sopra riti che bisognerebbe discutere, o mettere in discussione per crearne di nuovi, perché no? La musica nasce sul momento e vive di spontaneità, non stiamo guardando La Gioconda al Louvre».
Contro le «regole», a Roma tutto l’Auditorium si è alzato in piedi dopo il primo movimento per applaudire Giuseppe Gibboni, il ventenne che aveva appena vinto il concorso Paganini, primo italiano dopo 24 anni.
«Sono cose belle che fanno piacere. La musica è gioia e il pubblico è il mio alter ego. E poi quel ragazzo è stato ricevuto dal presidente della Repubblica Mattarella. Purtroppo sono episodi, questo è il problema. La musica ha bisogno di un cambio di marcia, sarebbe importante che la politica riaprisse teatri e orchestre. Questo paese deve tutto all’arte. Le bande stanno scomparendo, hanno svolto una funzione importante. Benedette le bande. Ma che l’educazione musicale sia stata affidata alle bande e non alla scuola è una vergogna».
Però i presidenti della Repubblica sono presenti agli eventi musicali importanti...
«Per questo il disinteresse legislativo fa ancora più arrabbiare. Siamo fermi all’acuto di una serata, non alla dimensione quotidiana della musica».
Nella sfera cerimoniale c’è, oltre all’applauso, il silenzio. Alla Frauenkirche di Dresda si ebbero venti secondi di raccoglimento dopo un Bruckner eseguito da Pappano e l’Orchestra di Santa Cecilia. In Italia spesso è un fuggi fuggi generale del pubblico…
«L’ho aperta io con un concerto quella chiesa a Dresda dopo il restauro, anche il silenzio fa parte della musica. Nel Sud della Baviera esistono chiese dove si esegue solo Bruckner e dove è vietato applaudire. Il fuggi fuggi…Capisco chi deve prendere l’ultima metro, ma spesso il problema si pone ed è un fatto di sensibilità e di rispetto».
L’applauso fuori posto sì. E i colpi di tosse «sospetti»?
«Se stanno male cosa facciamo?. Sono tollerante, non siamo robot. Altro discorso se la tosse è sospetta e cela un disagio per, poniamo, un pezzo considerato difficile»...
I cellulari che squillano durante un concerto?
«Capita a tanti, anche a me. Mi sono arrabbiato, due volte ho interrotto l’esecuzione. Ora faccio finta di niente».
Qual è il pezzo più celebrativo del concerto di Capodanno?
«Forse la Sinfonia di Dvorak, perché ci proietta nel futuro per la personalità del compositore e per il paese (l’America) che in quel momento lo ospitava».
Quale musica «da cerimonia» ha fatto suonare al suo matrimonio?
«Mi sono sposato due volte, tutte e due senza musica. La prima moglie è protestante ed è stato un rito ecumenico, la seconda volta è successo a Las Vegas perché andavamo di fretta. I testimoni erano due amici del pastore, sono venuti per trenta dollari a testa. Eppure è stata una celebrazione intima, nulla a che vedere con l’immagine kitsch di una Cappella a Las Vegas. Il giorno dopo siamo volati a Parigi dove dirigevo Turandot».
E lei quale musica celebrativa ha nel cuore?
«Ne ho talmente tanta interiorizzata che sono la persona più sbagliata a cui fare questa domanda».