21 dicembre 2021
Biografia di Gabriel Boric
Sara Gandolfi, Corriere della Sera
Via la chioma ribelle, la barba lunga, lo sguardo torvo. Il Gabriel Boric apparso domenica sera davanti alla folla che celebrava la sua vittoria alle presidenziali sull’avenida dell’Alameda a Santiago, sembrava più un giovane professore di economia che un ex leader studentesco sospettato di voler essere capo-popolo. Trentacinque anni, candidato della coalizione Apruebo Dignidad, che riunisce Frente Amplio di sinistra e Partito Comunista, Boric ha sconfitto con un distacco netto (56% contro 44%) il candidato dell’estrema destra Antonio Kast, al quale però ha subito teso la mano nel suo primo discorso da neo-eletto capo di Stato.
Il più giovane presidente della storia del Cile e il primo della generazione Millennial, che non ha vissuto gli orrori della dittatura, è stato il portavoce nei palazzi del potere della contestazione che ha infiammato le piazze nel 2019. Un leader simbolo del cambiamento e della protesta contro le politiche economiche ultraliberiste ereditate dal regime Pinochet e mai del tutto modificate nei trent’anni successivi. Nel suo «discorso della vittoria», Boric si è comunque inchinato al passato – «la Storia non parte con noi» – dicendosi erede «di un lungo progetto che da diverse posizioni ha cercato incessantemente la giustizia, l’ampliamento della democrazia, la difesa dei diritti umani, la protezione delle libertà: questa è la grande famiglia che vorrei rivedere riunita». Un riferimento alla concertazione che pose fine alla lunga dittatura di Pinochet avviando la transizione, senz’altro imperfetta, che però evitò ulteriori spargimenti di sangue. Verso la fine, però, ha fatto capire chi è il suo padre politico, citando la frase pronunciata da Salvador Allende il 4 settembre 1970: Vayan a sus casas con la alegría sana de la limpia victoria alcanzada (Tornate a casa con la sana gioia della netta vittoria ottenuta).
Erede dunque di una sinistra storica ma portavoce fino a non molto tempo fa di una sinistra movimentista, Boric non ha mai nascosto di voler seppellire il modello economico delle generazioni precedenti: «Se il Cile è stata la culla del neoliberismo, sarà anche la sua tomba», ha detto quando vinse la candidatura alle presidenziali. Domenica ha usato toni molto più moderati e si è detto pronto a governare cercando l’unità del Paese, anche dialogando con il rivale d’estrema destra, José Kast. «Sapremo costruire ponti. Il progresso richiederà ampi accordi».
Nato l’11 febbraio 1986 a Punta Arenas, nel profondo Sud del Cile, Boric si è laureato in Giurisprudenza, ma la sua carriera politica è cominciata a soli 13 anni, partecipando alla rifondazione della Federazione degli studenti secondari. Da lì ha scalato tutti i gradini della rappresentanza studentesca fino a diventare il leader del movimento di protesta del 2011. Eletto deputato nel 2013, a 27 anni, per la regione di Magallanes e Antartide, è stato rieletto nel 2017. La sua forza politica si è consolidata nel novembre 2019 partecipando alla firma dell’«Accordo per la Pace Sociale e la Nuova Costituzione», dopo settimane di scontri di piazza.
Riformista, ecologista e femminista, ha già annunciato di voler rivedere le concessioni per lo sfruttamento petrolifero e minerario, oltre all’abolizione del ruolo di «primera dama». La sua compagna Irina Karamanos, antropologa e militante del suo stesso partito, finora è rimasta nell’ombra e vuole restarci. «Meglio una nuova figura istituzionale, fondata sui meriti e sulle carriere di servizio civile, e non su vincoli di sangue o affinità», ha assicurato Boric.
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Giovanna De Stefani, La Stampa
A bruciare le tappe c’è un po’ avvezzo Gabriel Boric, il presidente più giovane che il Cile abbia mai avuto nei suoi 199 anni di storia, il più votato fino a ottenere il 55,87% dei suffragi (4.619.109 voti) contro il 44,15% dell’avversario José Antonio Kast (3.648.987), nell’elezione presidenziale con il più elevato tasso di partecipazione da quando il voto è diventato volontario. A sei anni Boric era già il presidente della prima elementare nella sua natale Punta Arenas, ed in terza si ricandidò. Per raccogliere voti scrisse una lettera che è un manifesto da apprendista politico, e che i genitori hanno diffuso recentemente consegnandola a «The Associated Press»: «Io sono stato eletto presidente in prima elementare, però in quel momento non sapevo ciò che era essere presidente, e per quello sono stato un cattivo presidente – scrive il piccolo Boric nel 1994 –. Adesso sono preparato e vi prometto di essere un buon presidente». E a 8 anni vinse la sua seconda elezione.
Nato l’11 febbraio del 1986 a Punta Arenas, nella regione periferica di Magallanes, all’estremo sud del Paese, Gabriel Boric conferma d’avere la stoffa del leader studentesco a 23 anni, nel 2009, quando diventa una delle figure dirigenti più emblematiche dell’occupazione della Facoltà di Diritto dell’Università del Cile, e delle manifestazioni che a partire del 2011 reclamano un’educazione gratuita e di qualità.
Proprio la popolarità guadagnata con la presidenza della Federazione degli Studenti dell’Università del Cile gli permette nel 2013 d’essere eletto deputato per la Regione di Magallanes e dell’Antartide cilena come candidato indipendente, cui seguirà un secondo mandato nelle elezioni politiche del 2017, questa volta tra le fila del Frente Amplio (FA), una coalizione di partiti e di movimenti di sinistra di cui fu uno dei membri fondatori. Una fervente attività politica che tuttavia gli costò il titolo universitario.
Boric dimostra di possedere uno straordinario fiuto strategico quando nel novembre del 2019, a cavallo dei giorni più violenti della protesta sociale che travolge il Paese, decide di rischiare il suo capitale politico firmando l’accordo per la pace con il governo Piñera, senza il sostegno del suo partito.
Sarà la sua fede nelle formule di coalizione dimostrata lungo tutta la sua fulminante scalata politica a permettere al baby-deputato nel marzo 2021 d’essere nominato candidato presidenziale di Convergencia Social, partito da lui fondato nel 2018, e di FA. Vincere lo scorso luglio le primarie della coalizione Apruebo Dignidad - nella quale con FA è confluito il Partito Comunista – contro il candidato comunista Manuel Jaude, gli spiana invece la strada per diventare il più giovane candidato presidenziale della storia della repubblica cilena ad aggiudicarsi il primo turno dietro l’avversario della destra Josè Antonio Kast.
Di lì, la mossa vincente che ha permesso al candidato millennial di conquistare le preferenze degli elettori cileni e d’insediarsi al Palazzo della Moneda è stata la capacità di canalizzare le rivendicazioni della base, conciliare i toni e di moderare il suo programma di lavoro. Un’abilità che ha fatto la differenza e che gli ha permesso di aggiudicarsi l’appoggio esplicito dei partiti del centrosinistra e della ex presidente socialista Michelle Bachelet, nonché attuale Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i Diritti Umani.