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 2021  dicembre 20 Lunedì calendario

Intervista a Jean-Paul Fitoussi (non è convinto di Draghi)

“In Italia c’è una confusione tra Mario Draghi e il Paese. Nel senso che si parla del primo, generalmente con toni riveriti e stima amplissima, ma non ci si cura del secondo”.Jean-Paul Fitoussi pensa che la luce su Draghi si illumini a prescindere da ciò che accade in Italia?
Penso che una cosa è ciò che appare e un’altra è ciò che è. Misuro una certa distanza tra le parole, i propositi e poi i fatti.
L’Economist incorona l’Italia e naturalmente Draghi come simbolo di un cambiamento enorme, di una galoppata che ha premiato il Paese nell’ultimo anno.
Temo che l’Economist premi Draghi, non l’Italia. E il giornale dell’élite riconosce il premier italiano come suo membro benemerito. I media amano premiare i divi europei.
Lei disapprova?
L’ho apprezzato al tempo della guida della Bce. Ha fatto meglio di Trichet, il predecessore. Ma una cosa è guidare una banca centrale, un’altra un Paese.
Cos’è che non la convince invece del suo lavoro da primo ministro?
Ricordo che giustamente riferì al Parlamento che questo fosse il tempo di dare, non di togliere. Dare – immagino – a chi aveva ricevuto di meno. Riequilibrare ciò che non era più in asse. Domando: alle parole sono seguiti i fatti?
La sua non è una domanda.
No, è già una risposta. Non significa nulla dire: diamo di più, se poi quel di più non va a chi dovrebbe andare. Non significa nulla gloriarsi della crescita se poi la crescita gonfia le tasche di chi già ha.
Draghi non è keynesiano quanto lei.
Keynes insegnava le basi del rapporto tra domanda e offerta. Se dai a chi ha poco sei sicuro che tutto quel di più sarà speso. E quindi ne beneficeranno i consumi, e cioè il Paese intero. Se dai invece a chi già ha un solido conto in banca, sii certo che il maggior raccolto sarà stipato nei depositi. I consumi crescono se la distribuzione si orienta verso i ceti più economicamente deboli.
In Italia l’ultimo decennio ha visto crescere la povertà delle famiglie in modo impressionante. Erano circa novecentomila nel 2011, sono divenute due milioni oggi.
Ecco il travisamento, la confusione tra Italia e Draghi. Il boom economico? Il rimbalzo? A che serve se lascia per strada due milioni di famiglie? Se hai perso, faccio un esempio, dieci punti di Pil, i sei che guadagnerai ti fanno felice? Significa comunque che sei sotto di quattro.
L’Italia ha fatto meglio degli altri Paesi, così si dice.
Ok, già è una risposta più misurata. L’Italia è stata la migliore tra i peggiori.
Cosa non la convince di Draghi?
Non ha dato seguito alle sue parole. Dare a chi più ha bisogno.
Potrebbe risponderle che decine sono gli strumenti di sostegno ai ceti deboli messi in campo.
Certo, la crisi sanitaria ha fatto crescere le diseguaglianze. Ma a questa premessa non è corrisposta la determinazione a raddoppiare gli sforzi per affrontarle. Chi teorizza o aderisce all’idea salvifica della flessibilità nei rapporti di lavoro come balsamo per l’economia di mercato, aderisce all’idea di rendere stabile la precarizzazione. Flessibile per me significa precario. E precario significa povero.
Comunque il premier ha il più alto indice di gradimento.
Non discuto della sua rispettabilità pubblica. Contesto le scelte economiche. Oggi l’immagine pubblica è orientata dalla comunicazione. Ciò che appare non sempre è.
Lei pensa che gli italiani nel seggio elettorale diranno il contrario di ciò che affermano oggi?
Oggi la rappresentazione politica del vincente è frutto della qualità della sua comunicazione pubblica e di quella della élite che si stringe intorno. Il cuore omogeneo dei media in questo caso aiuta molto. Quando invece il peso si farà nella cabina elettorale le sorprese arriveranno.
E noi saremo stupìti?
Come sempre. Presi dallo stupore, forse dallo sconforto che i poveri abbiano idee diverse di quelle dei ricchi e, purtroppo per questi ultimi, siano in un numero enormemente maggiore. E per fortuna aggiungo.