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 2021  dicembre 20 Lunedì calendario

Lo smart working, oltre il lockdown


L’esperienza del lavoro a distanza anche negli studi professionali non si è conclusa dopo il lockdown. Anche se in tanti, di fatto, sono da tempo tornati in ufficio pur con le cautele della pandemia ancora in atto, l’idea di una diversa organizzazione del lavoro, più flessibile, comincia a farsi strada anche tra i liberi professionisti: il 40% del campione intervistato da Confprofessioni – e per gli avvocati addirittura uno su due – si dichiara pronto a continuare l’esperienza del lavoro agile anche oltre lo stato di emergenza. Una percentuale non trascurabile se si pensa che, prima della pandemia, questa possibilità era praticamente sconosciuta negli studi, sia per le dimensioni ridotte delle organizzazioni che per la natura del lavoro autonomo.
L’indagine
Al sondaggio via web, avviato a ottobre, da Confprofessioni sullo smart working hanno risposto in 1.439 tra i liberi professionisti e 8.302 tra i lavoratori dipendenti degli studi, con una prevalenza territoriale del Centro Nord e, per il genere, delle professioniste e lavoratrici rispetto agli uomini. L’obiettivo dell’associazione era capire quale traccia aveva lasciato lo smart working emergenziale negli studi, come è stato organizzato e, soprattutto, se e come potesse essere in qualche modo conservato in futuro.
I risultati
L’indagine fotografa l’affannosa partenza del lavoro da remoto per le organizzazioni più piccole, quali gli studi. I professionisti e i loro dipendenti sono partiti per lo più con gli strumenti che avevano già in casa (82%), nella maggior parte dei casi nel senso letterale del termine: solo uno su tre infatti ha potuto contare su dotazioni informatiche fornite interamente dal datore di lavoro. Peraltro, meno di uno su quattro tra i titolari è riuscito ad usufruire di aiuti economici per lo smart working; con percentuali che vanno dal 26% dell’area amministrativa all’11% dell’area tecnica.
Come era prevedibile a ricorrere di più allo smart working sono stati i dipendenti (63,5%) rispetto ai professionisti-datori di lavoro (58%). In generale, però, più della metà degli studi (il 58%) ha sperimentato il lavoro da remoto: uno su tre solo per il lockdown, mentre uno su 4 lo sta ancora attuando. E appunto pensa di introdurlo in modo strutturale. Del resto le regole ora ci sono anche per gli studi professionali: Confprofessioni è tra le associazioni che hanno firmato l’accordo nazionale sullo smartworking del 7 dicembre. L’intesa è la cornice entro cui si dovranno poi muovere gli accordi individuali (per i dipendenti degli studi) e regolamenta le modalità del lavoro agile: dalla disconnessione alla sicurezza del luogo di lavoro, fino all’assenza di straordinari. L’organizzazione resta del tutto flessibile, ovviamente, per i liberi professionisti.
I giudizi
Ma come è stato vissuto, nel bene e nel male, lo smart working? Il punto di forza, sia per i dipendenti che per i professionisti è stata la riduzione dei tempi di spostamento, al primo posto tra gli aspetti positivi. E non a caso i giudizi più positivi sono concentrati nelle aree urbane. Ai dipendenti è piaciuta anche la maggiore responsabilizzazione (nel 43,5%) quasi a indicare una difficoltà per il datore di lavoro in precedenza a rendere più autonomi i collaboratori. I responsabili di studio hanno apprezzato anche la flessibilità di orario. Di contro, in entrambi i gruppi, il lavoro agile ha creato senso di isolamento e solitudine in quasi due casi su tre, mentre metà dei professionisti ha riscontrato minore produttività.
Insomma, la spaccatura è netta: il 58% dei dipendenti dà dell’esperienza giudizi tutto sommato positivi, mentre tra i professionisti prevalgono i giudizi neutri («né positivo né negativo» per il 34%), con un altro 29% che è invece del tutto critico. E che probabilmente ha già abbandonato l’esperimento.