Corriere della Sera, 20 dicembre 2021
La gestione pericolosa dei rifiuti nucleari
Nemmeno con la Salerno-Reggio Calabria si era arrivati a tanto. Ci sono voluti dieci anni per costruirla e quaranta per ammodernarla. Il caso in questione ha un’aggravante pericolosa: si tratta di scorie e rifiuti nucleari. La società di Stato «Sogin» nasce nel 1999, con l’incarico di chiudere il ciclo delle centrali di Caorso, Trino Vercellese, Garigliano, Latina. I decreti Bersani (2001) e Marzano (2004), definiscono la tabella di marcia: entro il 2014 la società deve mettere in sicurezza i rifiuti nucleari di tutti gli impianti, inclusi quelli dell’ex-Enea, ed entro il 2019 smantellare le centrali. I materiali ottenuti vanno custoditi sui siti in depositi dedicati, e a fine lavori conferiti in un unico deposito nazionale (che nel frattempo sarà individuato) e che Sogin costruirà e gestirà, lasciando le aree decontaminate. I costi previsti per l’intera operazione ammontano a 3,7 miliardi di euro caricati sulla bolletta elettrica nella voce “oneri di sistema”.
Le attività previste e quelle realizzate
I primi dieci anni passano a definire gli interventi per la disattivazione delle centrali, la sistemazione del combustibile irraggiato, la valutazione della possibilità di esportarlo temporaneamente per il riprocessamento, le richieste delle autorizzazioni ecc. In breve: inerzia. Dal 2010 vengono richiesti i «piani a vita intera», cioè il programma di attività previsto anno per anno, fino al completamento dei lavori (il cosidetto decommissioning). L’amministratore delegato è Giuseppe Nucci. Il costo totale sale a 5,71 miliardi, e la fine lavori spostata al 2025. Il piano prevede attività per 790 milioni entro il 2016. Ne sono state effettuate per 239 milioni. Luglio 2013, Nucci aggiorna il piano: il costo totale cresce a 6,48 miliardi. Previsti per i sei anni successivi lavori per 890 milioni. Lo stesso anno cambia il governo e il nuovo amministratore delegato è Riccardo Casale, ex ad di Geam, società di raccolta e smaltimento rifiuti urbani del porto di Genova. Nel 2018 attività effettivamente eseguite per 380 milioni, invece degli 890. Novembre 2017, amministratore delegato Luca Desiata: la fine lavori spostata al 2036, e il costo totale sale a 7,25 miliardi di euro. Dopo i primi 3 anni, invece dei 385 milioni di lavori previsti, sono state eseguite attività per 176 milioni.
Nel 2019 viene nominato amministratore delegato Emanuele Fontani, da 12 anni dirigente Sogin: il costo totale cresce a 7,9 miliardi. E di nuovo viene annunciata l’imminente accelerazione. La previsione al 2025 è di attività per 910 milioni, di cui 94 entro il 2020. Di quelle programmate ne sono state eseguite per 50 milioni. L’andamento trimestrale del reale Stato di Avanzamento Lavori (Sal) mostra che nel 1° trimestre 2021 le attività eseguite sono state sei volte inferiori a quelle del trimestre precedente, come accade da almeno un decennio.
I rifiuti radioattivi in mano a un consorzio di pulizie La priorità assoluta è la messa in sicurezza dei rifiuti liquidi di Saluggia, e la messa a secco del combustibile di Rotondella. Nel 2012 Sogin affida a Saipem la cementificazione dei rifiuti radioattivi. Il progetto «Cemex» è complesso perché deve utilizzare impianti che consentano di condurre le operazioni da remoto, visto l’alto livello di radioattività dei liquidi da trattare. Nel 2013 il progetto è pronto, Sogin lo approva nel 2015, poi non sa gestirlo. Nel 2017, l’ad Desiata, e il direttore dello smantellamento degli impianti del combustibile, l’ingegner Fontani, aprono un contenzioso, alla fine del quale Sogin risolve il contratto con Saipem per «manifesta incapacità». Nota: stiamo parlando di una della più grandi imprese di progettazione al mondo. Nel 2019 Fontani è nominato amministratore delegato, e a luglio 2020 viene bandita una gara. Un minuto prima della scadenza dei termini presenta l’offerta un solo raggruppamento di imprese medio piccole senza alcuna esperienza nucleare né di grandi impianti. A maggio 2021 incassano un anticipo di 30 milioni. Ad oggi sono state installate la gru e le baracche di cantiere. Come risulta da ispezione Isin, su 6,9 milioni di euro di attività programmate per il 2021, al 30 novembre ne erano state eseguite per 400mila euro. Sull’impianto di Saluggia ci sono 270 mila litri di rifiuti radioattivi liquidi e acidi, stoccati in serbatoi di acciaio costruiti negli anni 60. Sullo stato di conservazione non è dato sapere, perché inaccessibili a causa dell’alta radioattività. Nel 77 la licenza di esercizio rilasciata ai gestori dell’impianto aveva questa prescrizione: i rifiuti liquidi vanno solidificati entro 5 anni. Ne sono passati 40 e sono ancora lì. Caso unico al mondo.
Il deposito che non c’è
La ricerca del sito unico nazionale da parte della Conferenza Stato-Regioni ha prodotto diverse mappe, già a partire dal 2002. Il 9 gennaio scorso sono stati finalmente resi pubblici i luoghi più adatti: 12 aree collocate fra la provincia di Alessandria, Torino, Viterbo. L’iter prevede la consultazione pubblica, la stesura di una carta definitiva, e infine il confronto con le popolazioni per raggiungere un accordo sull’indennizzo. Solo a quel punto può iniziare la costruzione vera e propria, che durerà quattro anni e costerà 900 milioni. Ad oggi, 20 dicembre, questi dialoghi Sogin non li ha neppure iniziati. Nel frattempo i rifiuti mandati in Inghilterra e in Francia al condizionamento stanno tornando indietro. Non avendo ancora il deposito nazionale dove metterli, dobbiamo pagare 50 milioni l’anno per tenerli stoccati fuori.
I costi sulla bolletta elettrica
Il costo totale previsto per il completamento del decommissioning entro il 2019 era di 3,7 miliardi. Come risulta dalle delibere Arera, alla fine del 2020 Sogin è già costata in bolletta elettrica 4 miliardi di euro, di cui 2,2 miliardi sono serviti a pagare gli stipendi del personale (lievitato da 650 a 1.100 unità), le auto di alta gamma e altri benefit e bonus agli oltre trenta dirigenti. Lavori eseguiti in 20 anni: circa il 30%. Il condizionamento dei più pericolosi rifiuti radioattivi pregressi non è neppure iniziato, e lo smantellamento delle «isole nucleari» (Trino, Caorso, Latina, Garigliano) nemmeno del tutto progettato. Eppure i dirigenti, nonostante siano responsabili dei risultati sopra descritti, sono sempre stati tutti confermati. E hanno pure incassato i bonus. Il meccanismo è questo: alla fine di ogni anno si riduce drasticamente il volume dei lavori da eseguire l’anno successivo, così stai sempre dentro al budget. L’anno successivo cambi il tipo di lavori da concludere nell’anno, con altri più semplici. L’Autorità approva, e i dirigenti incassano il premio. Mediamente 3 milioni di euro l’anno.
Chi deve vigilare
L’Autorità per l’Energia ha sempre pagato a piè di lista, senza applicare le penalità previste quando non si raggiungono gli obiettivi dei piani a vita intera. Solo quest’anno ha introdotto un nuovo quadro regolatorio. Non ha mai vigilato il Mef, né il Ministero dello Sviluppo Economico, né il Ministero dell’Ambiente. Oggi Sogin ha trovato un ostacolo nel Ministro della Transizione Ecologica Cingolani: «L’unica soluzione possibile è un commissariamento su modello Ponte Morandi, perché è un problema di ordine nazionale». Il Mef prende tempo. Un altro rinvio può esporre il Paese a rischi di dimensioni spaventose. Solo a Saluggia è stoccato il 75% di tutta la radioattività presente sul territorio nazionale. E la messa in sicurezza è stata assegnata a un gruppo di imprese di manutenzione e pulizie! Il sito è a 60 metri dalla Dora Baltea e sopra la falda dell’acquedotto del Monferrato. Dopo l’alluvione del 2000, Carlo Rubbia, allora presidente dell’Enea, recapitò al governo uno studio: «Lo sversamento di una parte di quei liquidi renderebbe necessaria l’evacuazione delle sponde del Po fino al delta, e terreni e falde adiacenti inutilizzabili per decenni».