Il Sole 24 Ore, 19 dicembre 2021
A Hong Kong sono eleggibili soltanto i «patrioti»
Hong Kong oggi vota per rinnovare il Consiglio legislativo, il Parlamento locale della regione amministrativa speciale, e ieri le autorità hanno emesso mandati di arresto contro 5 attivisti pro-democrazia rifugiatisi all’estero, colpevoli di aver esortato gli elettori a boicottare le urne. Le elezioni, che si svolgono con un anno di ritardo, sono considerate da molti osservatori una sorta di farsa, dopo la riforma voluta da Pechino che concede di presentarsi soltanto ai “patrioti”, di fatto candidati vagliati e autorizzati dalle autorità. A questo vincolo si aggiunge la norma che ha ridotto il numero di seggi eletti direttamente, da 35 a 20, su un totale portato da 70 a 90.
Se si considera che a luglio del 2020 era stata approvata la nuova “legge sulla sicurezza” a Hong Kong che di fatto aveva dato alle autorità locali e cinesi la completa autonomia di perseguire e incarcerare gli oppositori politici, non stupisce il fatto che oggi, per la prima volta, sarà del tutto assente il vecchio fronte pan-democratico, la gran parte del quale è finita in carcere, si è defilata o si è, appunto, rifugiata all’estero. Nathan Law è uno degli attivisti finiti nel mirino dopo aver sollecitato in una conferenza stampa online il boicottaggio del voto. I mandati di arresto, oltre a Law, colpiscono Sunny Cheung, Timothy Lee, Carmen Lau e Kawai Lee, tutti partiti da Hong Kong.
Nell’ex colonia britannica non è illegale astenersi dal votare, ma quest’anno è diventato un crimine incitare altri al boicottaggio o esprimere voti non validi: in caso di infrazione, si rischia il carcere fino a 3 anni e la multa fino a 25.600 dollari.