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 2021  dicembre 19 Domenica calendario

Intervista a Paola Egonu


Da lassù tutto è più chiaro che qui. Alzate gli occhi verso il soffitto che avete sopra la testa: lassù significa ben più in alto del vostro soffitto. Paola Egonu, quando colpisce la palla, vola a quasi 3,5 metri dal suolo e mette a terra anche rabbia e pregiudizi con vista sulla libertà: «Io sono libera. Ho imparato ad ascoltarmi con regolarità, ad andare oltre a
ciò che si dice di me e a non avere paura dei pregiudizi o delle ansie che mi vengono quando sento sentenze affrettate sulla mia persona, perché ho capito che la vita è mia, mie sono le esperienze e solo io so come mi sento».
Saggezza e personalità tetragona di una ragazza di 23 anni (compiuti ieri, auguri) che di mestiere fa la giocatrice di volley e finisce spesso in prima pagina sconquassando luoghi comuni e perbenismi da salotto: «Sono molto diretta – confessa – se qualcosa non mi convince, si nota subito e ne parlo» perché, sorride e ti guarda dritto negli occhi, «una volta che ho detto no, non torno indietro, non c’è una seconda possibilità». Eccoli i pregi e i difetti di una delle più forti giocatrici di pallavolo al mondo che anni fa ha trovato la forza di fare coming out e confessare l’amore per una donna e di denunciare i tanti sfregi subiti per il colore della pelle.
Egonu, stella della Nazionale contesa da alcuni dei più importanti club internazionali (Fenerbahçe e VakifBank su tutti), gioca per ora nella Prosecco Doc Imoco Volley di Conegliano (Treviso): «Mi piace molto la vita tranquilla qui, poco traffico, qualche saluto discreto e tanto verde per passeggiare con la mia cagnolina Noir. Amo Conegliano perché mi ricorda tanto la Cittadella della mia infanzia, peccato solo che ci sia così spesso la nebbia». Brume che le toglieranno qualche sorriso, ma non certo concentrazione negli allenamenti e ispirazione sul parquet. Se la Imoco ha raggiunto il record mondiale delle 76 partite senza sconfitte (due anni di imbattibilità, dal 12 dicembre 2019 al 1° dicembre 2021) e ha toccato il tetto d’Europa e del mondo, lei ci ha messo più di una mano, anche se a volte pretende ancora di più o magari trova giornate mezze storte: «Ci sono tante fasi complicate, a chi non capitano? In quei momenti, mi fermo e cerco di riflettere “Paola, è normale essere in difficoltà”. Non lo vorrei mai ammettere, certo, perché mi piacerebbe vivere sempre al 100%, ma non è possibile. Bisogna capire, ammettere, devo cercare, anche nel buio, di accettarmi e accettare l’ostacolo soprattutto perché il volley è uno sport di squadra: le mie compagne capiranno se c’è un giorno meno positivo di altri e mi aiuteranno. Non voglio più farmi una colpa se sono in difficoltà».
Parole da grande, eppure con una voce quasi timida, riservata, sono sentimenti così intimi e dolorosi da esprimere. Ma lei, neppure di questo, ha paura. Si mette a nudo, sa di essere la voce di tante ragazze e ragazzi suoi coetanei, che la seguono come un’icona: imbattibile in campo, ma umanissima e così vicina alle pareti verticali del vivere: «Ogni giorno, ad esempio, mi rendo conto di quanto è complicato essere donna in Italia e nel mondo, in generale. In ballo c’è la sicurezza che non è garantita, ci sono i diritti, la parità salariale e, anche nelle piccole cose ancora così poco comprese, si allarga la distanza fra noi e gli altri. Ad esempio, il ciclo fa parte della nostra natura, ma non c’è voglia di capire quel che succede al corpo di una donna. Viene considerato un aspetto banale, ma non lo è. Anche per noi atlete è uno sconvolgimento: c’è chi ha crampi lancinanti, chi la febbre, chi è stremata dalla debolezza. È insopportabile avere la pancia a pezzi dal dolore e sentire che ti dicono “che vuoi, hai solo il ciclo”. Ma io ribatto: “provate voi ad avere crampi da mattina a sera per quattro giorni e magari dover giocare una partita importante”. La donna è qualcosa di magico, sosteniamo un’immensa quantità di dolore senza lamentarci e sappiamo dare un sacco di risposte a chi ci sta accanto. Non mi piace parlare di differenze fra uomini e donne, ma di specificità e di talenti. Quando questo sarà chiaro a tutti, sarà meno
difficile vivere e i talenti delle donne saranno davvero valorizzati».
Il genio luminoso di Paola da Cittadella è già storia dello sport: detiene il record di punti (47) in una gara di Serie A1, ha vinto uno scudetto, quattro Coppe Italia e altrettante Supercoppe, due Champions League, un Mondiale per club (e oggi, ad Ankara, alle 16,30 si giocherà il secondo contro le turche del VakifBank di Istanbul) e ha fatto incetta di trofei in Nazionale, fin dal debutto nell’Under 18, nel 2015. Il 4 settembre, il trionfo in Serbia, a casa di Tijana Boškovi? e compagne, in una bolgia nazionalistica di bandiere bianco, rosse e blu, è un fiore all’occhiello. Nove vittorie su nove partite e Campionato europeo in bacheca a distanza di un mese dal naufragio ai Giochi olimpici con le azzurre eliminate ai quarti: «Eravamo le stesse ragazze, la stessa squadra, ma abbiamo trovato la voglia di rialzarci tutte insieme per dimostrare che, no, noi non eravamo quelle di Tokyo, maltrattate anche da tanta stampa. Non si è sempre gli stessi in ogni gara. Ogni competizione è diversa ed è una lezione che accresce l’esperienza e ti offre qualcosa in più per la prossima volta». La schiacciatrice azzurra era uscita con le ossa rotte da Tokyo, ha spento il cellulare e si è rifugiata a Manchester da mamma Eunice e papà Ambrose a cercare pace e un piatto di platano fritto. La cura degli affetti e la giusta distanza, poi, si sono rivelate il miglior balsamo a Belgrado: «In Giappone ho imparato che non tutto è nelle mie mani, che posso spingere, dare il 100%, ma non devo prendere ogni responsabilità sulle mie spalle. Si può dare tutto, ma se non si è pronti, nel momento giusto, anche quel 100% non porta al risultato che hai in testa».
Torneo olimpico a parte, Tokyo ha fatto conoscere al mondo la nostra campionessa. Durante la cerimonia di apertura della manifestazione Paola ha portato la bandiera a cinque cerchi nelle luci ovattate dello Stadio Olimpico: statuaria nel suo incedere lento e deciso, sembrava una di quelle sacerdotesse che salivano all’Acropoli durante le Panatenee nell’antica Atene. Stessa perfezione rituale: «è stato un momento magico, indimenticabile. Io, davanti al mondo, so di aver vissuto una di quelle occasioni che ti capitano una volta nella vita. Neppure ora, a distanza di mesi, so descrivere ciò che ho provato: ero felice, fiera, emozionata. Ho sentito un grande orgoglio come atleta, come donna, come italiana». E la prossima volta che vedrete una partita della Nazionale azzurra, fate bene attenzione a come Paola canta l’ultima strofa dell’inno di Mameli: «Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò», e ne capirete tutta l’italianità.
Già, l’Italia, bella e dannata, che chiamò papà e mamma Egonu dalla Nigeria in Veneto negli anni 90 per cercare un futuro migliore, ma che non sa ancora dare pari diritti a tutti i suoi figli: «La nuova Italia combatte e ci prova: il razzismo non scomparirà da un momento all’altro, ma sono fiduciosa. La mia generazione, la generazione nuova ha una mentalità diversa perché ascolta, si confronta, studia e quello che i nostri genitori non sono stati in grado di fare, noi lo faremo. Lo vedo nelle scuole, negli occhi dei bambini e dei ragazzi che incontro: c’è voglia di stare insieme, al di là del colore della pelle, delle religioni, delle culture e ci sarà integrazione vera». Per ora, la politica, sempre così tronfia di parole, progetti e visibilità, non sa dare risposte concrete e, anche quando può cambiare il Paese grazie a un quadro normativo in linea con i passi in avanti che la società compie in modo indipendente, non lo fa. Nei giorni in cui il Ddl Zan veniva affossato in Senato, la Norvegia festeggiava il trentesimo anniversario di una legge a tutela del diritto di essere e di amare: «La società e lo sport corrono più della politica. Voglio far notare a chi ci rappresenta in Parlamento che la mancata approvazione di provvedimenti quali il Ddl Zan e altri simili per un’Italia migliore, libera e uguale, azzopperanno l’Italia del domani, quella in cui vivremo noi che oggi siamo giovani. I politici, che ostacolano questo percorso di cambiamento, non si rendono conto del male che stanno facendo ai loro figli, cioè al futuro, all’Italia intera». Se ne renderanno conto – forse – quando sarà troppo tardi, quando saranno soprattutto i giovani a scavalcare questa politica zoppa e bugiarda perché loro sono già oltre e hanno scritto nel Dna che nessun essere umano deve essere offeso o discriminato a causa delle proprie scelte sessuali, qualsiasi esse siano.
Adesso che l’allenamento del pomeriggio è finito, Paola lascia il palazzetto e si tuffa nella vita: qualche amico, gli studi (è iscritta a Psicoeconomia alla Università eCampus, dove ha sostenuto tre esami), scorpacciate di serie Tv e film, e qualche idea «per creare una linea di abiti in cui tutte le donne si sentano a loro agio e amino il loro corpo». Poi, eccolo già l’anno che verrà, e si farà l’amore, ognuno come gli va: «Sono tanti i desideri che ho nel cuore, a partire dalla possibilità di continuare a crescere sia come atleta che come donna. Poi, al 2022 chiedo di soffocare ogni pregiudizio», e lancia lo sguardo lontano, chirurgico come certe sue battute al salto. Sogno, utopia in questa Italia troppo greve e arrabbiata? In Paola Egonu, forte di cuore senza mai perdere la tenerezza, due più due fa cinque, per dirla alla Dostoevskij, perché le sue schiacciate sbriciolano il muro dei pregiudizi e spalancano le porte a un’Italia nuova.