Specchio, 19 dicembre 2021
Biografia di Amelie Mauresmo
Uomo o donna, che importa? Nel tennis è fondamentale sapere cosa si fa, e Amelie lo sa». Nessuno come Lucas Pouille ha saputo fotografare meglio la tennista francese Amelie Mauresmo, 42 anni, tenace e perfezionista ex numero uno del mondo, vincitrice di due Slam e di una Fed Cup grazie al sontuoso rovescio a una mano, appena diventata direttore del Roland Garros, il Grande Slam della terra rossa, massimo torneo di Francia. In perfetto accordo con il suo motto: «Cercare sempre di arrivare al massimo del proprio potenziale».
Vergine dei boschi, perseverante, coraggiosa: il significato del nome Amélie viene dal Medioevo – era una nobile famiglia dei Goti – ma alla sua radice ha anche il verbo «améliorer», migliorare. Significati che si adattano perfettamente alla campionessa francese, fin dall’aspetto simile a un’Artemide, guerriera schiva e lunare. Il Roland Garros, per Mauresmo, è una vocazione e insieme una maledizione: ha vinto in Australia e a Wimbledon nel suo anno d’oro, il 2006, purtroppo mai in patria. Anzi, sulla terra rossa del Bois de Boulogne, in termini di risultati, ha avuto solo delusioni, sono gli unici in cui non ha mai disputato nemmeno una semifinale. Partite buttate via per la troppa pressione, per la fragilità del suo genio tennistico. Eppure «questo torneo mi ha fatto sognare fin dalla giovane età – dice oggi – Il Roland-Garros è stato un filo conduttore per tutta la mia vita». Quei campi, intitolati all’omonimo aviatore della I Guerra Mondiale, li ha praticati fin da allieva del National Training Center, poi da professionista (quarti di finale nel 2003 e 2004), quindi come allenatrice ed infine da capitano in Fed Cup. E ultimamente anche come commentatrice televisiva. «Arrivo portando con me quello che mi ha sempre caratterizzato in tutto ciò che ho intrapreso – ha ancora dichiarato il giorno dell’incoronazione – ovvero la ricerca dell’eccellenza, la volontà di uscire io per prima e far uscire gli altri dalle rispettive comfort zone. Sarò esigente, porterò avanti il mio lavoro con la passione e la libertà che mi hanno sempre animato, con rigore e gioco di squadra. Sarò all’altezza del compito».
Onore ad Amelie Mauresmo, che ha saputo sempre spostare l’asticella un po’ più in là e risorgere dalle sue ceneri. Che ha saputo reagire alla fama di eterna seconda, di perdente di successo, capace di arrivare in finale per poi arrendersi alle sue fragilità più che alla sua avversaria, basti pensare alla maledetta medaglia di argento alle Olimpiadi di Atene 2004. Ma che alla faccia di tutti i critici è stata a lungo numero 1 del mondo e la prima francese a vincere Wimbledon dopo la mitica Suzanne Lenglen. Soprattutto una bruna ragazza timida capace di rivelare pubblicamente la sua omosessualità e di presentarsi in campo con una t-shirt che urlava «I’am what I’am», sono quello che sono e al diavolo se non vi piaccio. I tempi non erano proprio quelli tolleranti genderless di oggi, se Martina Hingis e Lindsay Davenport osarono attaccarla senza vergognarsi: «È un mezzo uomo». Eppure lei è andata avanti, dritta per la sua strada: «Non rimpiango di averlo fatto perché serviva a spiegare un certo numero di cose. Ma guardandomi indietro, nella forma, probabilmente avrei dovuto farlo in un altro modo, meno brutale. Perché dopo è stata molto dura». Dolorosi gli attacchi al suo aspetto fisico, di cui si enfatizzava in modo caricaturale la mascolinità («Una vera violenza»). Dolorosissima la crisi del rapporto con il padre, uomo severo e tradizionalista, che l’aveva sempre seguita fin da quando era poco più che bambina. Senza rimpianti, «perché bisogna essere in pace con se stessi per ottenere grandi successi».
Dopo l’addio relativamente precoce alle competizioni, a 30 anni, Mauresmo ha raccolto successi anche da coach: ha guidato Marion Bartoli alla vittoria di Wimbledon 2013, è stata capitana della Francia di Fed Cup e ha fatto rinascere Andy Murray, migliorando la sua preparazione fisica e mentale. «È migliorato un poco in ciascuno di questi aspetti – sintetizzava lei – E così è risalito al livello che gli appartiene». Ma, ancora, fare quello in cui credeva ha causato a Mauresmo molte critiche: «Gli altri allenatori non mi rispettavano perché sono donna – ha detto – mi ricordo ancora le frasi che mi rivolgevano. Quello che mi dà fastidio è che mi hanno criticata ancora prima di cominciare. Se fossi stata un uomo avrebbero almeno aspettato i risultati prima di parlare, avrebbero aspettato di vedere se ero brava. Questo è sicuro».
Quando i risultati sono arrivati «di critiche non se ne sono sentite (quasi) più». Amelie ha cambiato le prospettive di giocatori e allenatori sulla parità di genere nel tennis. E il primo a riconoscere i suoi meriti è stato proprio Murray: alzando la coppa dopo aver battuto Novak Djokovic nella finale di Montreal il tennista scozzese ha dedicato la coppa a lei, assente giustificata per la nascita del primo figlio: «Non so se è rimasta alzata per vedermi, perché sarà stata un po’ stanca, e poi è normale che in questo momento io non sia in cima ai suoi pensieri. Ma sono tanto contento che tutto sia andato bene e che lei e il bambino siano okay. Lavorare con Amelie mi ha aperto gli occhi, con lei posso parlare di tutto senza aver paura delle mie debolezze». E soprattutto «mi ha trasformato in un grande sostenitore della parità tra uomini e donne nel mondo dello sport. Quando ero più giovane, non vedevo le cose in questa maniera».
Dopo la rottura con Murray, nel 2016 Mauresmo è tornata a concentrarsi sulla Fed Cup, portando le francesi ad un passo dal titolo nella finale persa in casa a Strasburgo contro la Repubblica Ceca per 3 a 2. Dopo questa bruciante sconfitta, Amelie ha lasciato l’incarico perché in attesa della secondogenita, ha declinato l’offerta della federazione francese di allenare la squadra di Davis per accettare una seconda sfida nel circuito maschile con Lucas Pouille. A quel punto, i tempi erano pronti e le critiche sono state molto più benevole: «Andy è stato il primo, e ovviamente è vergognoso quello che è successo – ha detto Pouille – Gli uomini allenano le donne, quindi qual è il problema se avviene il contrario? Davvero, non capisco. L’ho detto mille volte: non è questione di essere uomo o donna, ma di conoscere il gioco e avere l’attitudine giusta. Lei è una campionessa. Ed è una grande allenatrice». Quello che Pouille ha imparato da Mauresmo è soprattutto la capacità di concentrarsi sul presente. «Penso che mi abbia aiutato sotto il profilo della personalità, dell’attitudine mentale. L’obiettivo è diventato migliorare il mio tennis, portare in partita il lavoro svolto durante gli allenamenti. Questo mi ha tolto pressione: ora mi sto concentrando solo sul mio gioco, non sui risultati. Vincere la prima partita e poi pensare alla successiva».
Non che Amelie abbia abbandonato del tutto lo sport, anzi: si sta allenando per partecipare alla maratona di Parigi del 3 aprile 2022. Ad allenarla, come sempre, Xavier Moreau, l’uomo che da vent’anni è il suo preparatore atletico. Mauresmo ha promesso che condividerà con i suoi follower tutti i passi che la porteranno alla maratona. Ma la volontà di ferro non esclude che si prenda ogni tanto qualche sfizio: non per nulla è un’esperta di vini. Quando vinse gli Australian Open 2006, stappò uno Chateau d’Yquem 1937 «ma da allora ho parecchio allargato i miei orizzonti». Anche sui vini italiani. «Ho visitato delle cantine nel Chianti. E apprezzo il Pergole Torte, uve di Sangiovese».
Quel che è certo è che Mauresmo non lascerà Biarritz per tornare a vivere nella regione di Parigi. «No, no. Non lascio la mia attuale residenza, nonostante il prestigio di questa posizione». Nella tranquillità della cittadina sull’Atlantico ha trovato il posto migliore per allevare i figli Aaron (6 anni) e Ayla (4) lontano dal clamore della vita pubblica. Un amore totale, che non ammette critiche o speculazioni su come siano nati. «Essere mamma mi ha portato una tale felicità che vorrei che tutte le donne potessero avere la stessa opportunità». Il cerchio si chiude e oggi Amelie è finalmente una donna in pace con se stessa: «Nella vita si impara con l’esperienza. Io ci ho messo un po’ più di altre, ma ora, per favore, non voglio più sentire discorsi sui miei nervi troppo fragili».