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 2021  dicembre 19 Domenica calendario

Ritratto di Jeremy Irons

Durante l’incontro con Jeremy Irons all’Auditorium di Roma, una signora di mezza età chiese il permesso di fare una domanda: «Come stai, Jeremy? Sono io…». L’attore la fissò, senza riconoscerla, ma lei andò avanti, senza scoraggiarsi: «Sono io…». Non fece il proprio nome, ma si lanciò in un’allusione ammiccante: «Ti ricordi quella notte a Positano?». Irons rimase imperterrito, non so se irritato o divertito, mentre il pubblico esplose in un applauso di incoraggiamento. «Sono io Jeremy…» disse ancora una volta, mentre lui si voltò verso di me, facendo segno che non sapeva di cosa stesse parlando. Dopo un momento di imbarazzo diedi la parola a un’altra persona, ma sono convinto che la signora non mentisse e che quella storia di una sola notte significasse per lei qualcosa di indimenticabile e per lui qualcosa di dimenticato o da dimenticare.
Racconto questo episodio perché ho avuto modo di vedere da vicino il fascino di inguaribile seduttore che ha questo magnifico attore inglese che ormai ha raggiunto i 73 anni: non c’è volta che lo incroci in qualche situazione pubblica che non lo veda circondato da fan adoranti, e lui, diciamola tutta, ama flirtare e sedurre. È nato a Cowes, sull’isola di Wight, in una famiglia all’antica: il padre Paul era un ragioniere, mentre il ruolo della moglie Barbara è stato quello di tirare su, oltre a Jeremy, la sorella Felicity Anne e il fratello Christopher. Furono proprio i genitori, però, a spingerlo verso una carriera diversa e più creativa: sin da bambino ha studiato musica, diventando un discreto batterista e suonatore di armonica: uno dei primi modi con cui ha raggranellato un po’ di soldi è stato quello di suonare per strada, prima di specializzarsi come giardiniere. Ha sempre amato la vita all’aria aperta: è un eccellente cavallerizzo, e dedica buona parte del tempo libero in cavalcate intorno al suo castello nella contea di Cork, in Irlanda. Un’altra passione è il motociclismo, ed è stato ripetutamente multato per eccesso di velocità, con tanto di sospensione della patente.
Ha iniziato a recitare da giovanissimo, alternando ruoli shakespeariani a musical come Godspell, prima di approdare alla BBC, dove diventò un attore di richiamo duettando con mostri sacri come Judy Dench. Le sue interpretazioni teatrali nel Racconto d’inverno, Macbeth, Molto rumore per nulla, La bisbetica domata, Riccardo II, sono ritenute tra le migliori degli ultimi decenni, ma è diventato celebre con Ritorno a Brideshead, per diventare poi una star nella Donna del tenente francese, dove tiene fronte a un altro mostro sacro come Meryl Streep. Sono magnifiche le prove recitative in Moonlighting, Mission e Tradimenti, ma la migliore è assolutamente l’interpretazione dell’uomo che con ogni probabilità ha ucciso la moglie nel Caso von Bulov. Vinse meritatamente un Oscar, per quel film, in cui immortalava una persona odiosa e altezzosa, che nella realtà riuscì a evitare il carcere proprio grazie a queste caratteristiche: il suo avvocato Alan Dershovitz convinse infatti la giuria di un pregiudizio nei suoi confronti a causa della sua antipatia.
Negli anni ha interpretato spesso personaggi ambigui e malvagi come in Inseparabili di David Cronenberg, o dando la voce al perfido Scar del Re Leone. Due ricercatori universitari, hanno scritto una tesi sull’uso della sua voce baritonale, dichiarando che, combinata con quella di Alan Rickman, rappresenta la perfezione della lingua inglese: è sintomatico ricordare che i due interpretano due fratelli nella serie Die Hard. Anche nel cinema d’azione è stato chiamato a interpretare il ruolo di un malvagio, è lui il primo a divertirsene, alternando il ritorno ad interpretazioni shakesperiane, come Antonio nel Mercante di Venezia, o papa Alessandro VI nella serie dedicata ai Borgia, lo spregiudicato finanziere di Margin Call e Humbert Humbert in Lolita di Adrien Lyne. «Amo interpretare i cattivi – ha spiegato – in molte situazioni è difficile sapere chi siano i malvagi e i buoni: la gente tende a pensare in bianco e nero, ma la realtà è tutta grigia».
Michael Radford, che lo ha diretto nel Mercante di Venezia, sostiene che «ciò che rende magnetiche le sue interpretazioni è un sottofondo di malinconia, anche quando immortala personaggi ambigui o malvagi». È un interprete umanista, Jeremy, e non è un caso che sia tra i pochi ad avere «tripla corona della recitazione» avendo vinto, oltre all’Oscar, sia un Emmy che un Tony. «Non sono mai soddisfatto del mio lavoro – mi spiegò nel corso di quell’incontro a Roma – e se lo fossi sarei nei guai: anche per questo continuo a lavorare e non mi importa la grandezza dei miei ruoli, anzi per alcuni versi preferisco quelli piccoli».
Non ha mai abbandonato il teatro, e quando parla della sua esperienza hollywoodiana dice: «L’industria è in mano a dei ragionieri che per qualunque prodotto hanno in mente soltanto il rendiconto economico». Occasionalmente si cimenta nella regia e nell’incisione di dischi dove esalta la qualità della sua voce seducente e malinconica, ma il suo impegno maggiore è nel sociale: sono molte le sue attività di beneficenza, ed è stato tra i primi attori a indossare pubblicamente un nastro in solidarietà per i malati di Aids. È un finanziatore del partito Laburista, ma dopo l’uscita di scena di Tony Blair, «uno degli uomini che ammiro maggiormente», si è avvicinato ai Verdi. È in prima fila contro la pena capitale, mentre per quanto riguarda l’aborto ha una posizione articolata: si definisce a favore ma ritiene che la Chiesa abbia il diritto di considerarlo un peccato, e che i difensori del movimento per la vita abbiano le loro ragioni. Si definisce cattolico, ma non osserva rigorosamente i precetti. Raramente parla del suo lavoro, e una volta ha dichiarato: «Non sono mai stato realmente appassionato alla recitazione: più passa il tempo e più penso che sia un lavoro. In realtà quello che voglio è vivere».