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 2021  dicembre 19 Domenica calendario

Cosa succede quando premiamo il tasto "Accetto"

Di bugie ne diciamo tante, ma ce n’è una che riguarda chiunque navighi su internet. «È quando confermiamo di aver letto le condizioni del contratto per usare una piattaforma, un servizio o un’app», osserva Francesco Paolo Micozzi, professore di Informatica Giuridica all’Università degli studi di Perugia. La ragione è semplice: ci vuole troppo tempo. L’agenzia inglese di marketing online Reboot calcola che se volessimo leggere quello che c’è scritto nei termini di servizio di Instagram, ad esempio, servirebbero 25,7 minuti, per Shopify ce ne vorrebbero 76,7. Aggiungendo le notifiche sulla privacy si arriva al record di 92 minuti complessivi per Paypal. Abbiamo provato con Facebook in italiano: la sezione Termini e Condizioni si articola in 4.431 parole, oltre 6 volte la lunghezza di questo articolo. Per spiegare come vengono raccolti e trattati i dati degli utenti, il social network spende poi oltre 4800 parole. Sono molto dettagliati pure i Termini e Condizioni dei servizi Apple: 9.096 parole. Vinted, la piattaforma di compravendita di abiti vintage, arriva a 11.518. Comprensibilmente, le regole per siti e piattaforme commerciali sono più lunghe: «Termini e Condizioni di uso sono un contratto legalmente vincolante – spiega Micozzi – e tendono a proteggere l’azienda che lo ha redatto in caso di disservizi o malfunzionamenti». Se non li si accetta, non si può usare il servizio, l’app o la piattaforma. Dall’altra parte, le regole sulla privacy sono pensate per tutelare gli utenti, perché spiegano come vengono usati i dati raccolti; si può dunque prestare un consenso totale o parziale.
La verità sui cookie
E poi ci sono i cookie, dati sugli utenti memorizzati sul computer e utilizzati per migliorare la navigazione. Esistono cookie di prima parte, salvati direttamente dal sito web che stiamo visitando, che registrano informazioni come il numero di sessioni o di visualizzazioni di pagina, e cookie di terza parte, che possono essere trasmessi a un sito diverso da quello visitato. Si può accettare di non scaricare i cookie di prima parte, ma per il server del sito che stiamo usando saremo degli sconosciuti, quindi ad esempio se abbiamo inserito qualcosa in un carrello elettronico, se abbiamo impostato le preferenze per la lingua o per la valuta, saremo costretti a ricominciare da zero ogni volta. Accettarli è tutto sommato un vantaggio per l’utente, perché migliora l’esperienza su quel sito. Possiamo però decidere di non volere cookie di terze parti, e cambierà poco o nulla.
I “termini di utilizzo"
Ma prima è bene capire cosa si accetta: le note devono essere scritte in maniera stringata e comprensibile, come ribadiscono gli articoli 13 e 14 del Gdpr, la normativa europea sulla protezione dei dati personali. «Quelle di Android erano troppo difficili, con 7 livelli di annidamento: così nel 2019 il garante francese ha sanzionato Google per 50 milioni di euro». L’azienda di Mountain View ha fatto ricorso in appello, ma ha perso di nuovo. «Intanto – osserva Micozzi – prende piede l’idea di sostituire i chilometrici bugiardini di app e siti con dei simboli standard che informino sui termini di servizio, un po’ come quelli che si trovano sui gadget o sui videogiochi». Così nessuno potrà più inserire clausole nascoste come quella al punto 42.10 dei Termini di Utilizzo di AWS, la piattaforma cloud di Amazon. Dove, tra un’eccezione e l’altra, si legge: «Questa restrizione non si applicherà nel caso in cui si verifichi un’infezione virale trasmessa tramite morsi o contatto con fluidi corporei che fa sì che i cadaveri umani si rianimino e cerchino di consumare carne umana viva, sangue, cervello o tessuto nervoso e che possa portare al crollo della civiltà organizzata». Uno scherzo da nerd, ma pure un richiamo serio a prestare attenzione prima di cliccare su “accetto”.