La Lettura, 18 dicembre 2021
Le illusioni di Balzac raccontate da Giannoli
«L’ho scoperto a scuola, come ogni studente francese, e vi ho trovato una bussola per muovermi nei labirinti della società. Ma solo all’università, grazie a un professore, Philippe Berthier, grande specialista de La commedia umana, ho letto Illusioni perdute. Ce ne parlò incrociandolo con Fellini: arte che sa raccontare la società. Balzac, due secoli fa, vede il mondo ossessionato dal denaro: tutto, anche l’arte e la cultura, viene sacrificato in nome del profitto. Una lettura politica e molto lucida che si riverbera sul presente». Xavier Giannoli ha tenuto a lungo in canna il suo adattamento della seconda parte del romanzo, uscito in tre tranche tra il 1837 e il 1843, Un grande uomo di provincia a Parigi. È l’odissea di un giovane poeta carico di talento e speranze, venerato ad Angoulême, dov’è cresciuto, come piccolo genio, e messo ferocemente alla prova da una società dominata dallo strapotere del denaro: la menzogna è sistema, la corruzione dilaga. Il film Illusioni perdute – interpretato da Benjamin Voisin, Xavier Dolan, Vincent Lacoste, Cécile de France e Gérard Depardieu – passato in concorso a Venezia 78, arriva nelle nostre sale dal 30 dicembre.
Lucien de Rubempré arriva a Parigi nel 1821. Balzac, «segretario della storia», ne fa un ritratto impietoso.
«Balzac ritrae la modernità, ben sintetizzata nella celebre frase: “Il liberalismo economico sarà la libertà di una volpe in un pollaio”. Ha visto come la società borghese dopo la Rivoluzione francese abbia imposto nuovi valori: tutto diventa monetizzabile. Dopo il sangue della Rivoluzione e le guerre dell’Impero, la società aspira a una forma di pacificazione. Vuole godersela, divertirsi. Luigi XVIII è al potere e cerca compromessi. L’aristocrazia ha restaurato i valori della monarchia ma la nuova classe aspira a conquiste sociali, politiche e soprattutto economiche».
Sono passati due secoli, ma a parte gli abiti e le carrozze, sembra parli di noi. Una commedia umana dove tutto di vende e si compra: letteratura, stampa, sentimenti, politica, reputazioni.
«La freschezza del racconto nasce dal fatto che i protagonisti Lucien, Lousteau e Nathan siano ventenni che stanno scoprendo l’esistenza, compreso il suo lato più oscuro che Balzac descrive con un humor feroce. Lo straordinario appetito di vita di chi vuole trovare il proprio spazio, battersi, giocarsela e deve misurarsi anche con la crudeltà sociale, le umiliazioni pubbliche, l’amicizia fatta a pezzi dal “branco”. E infatti il personaggio più puro, la giovane attrice Coralie, la sola che incarna una forma di ideale e bellezza, sarà sacrificata, lapidata e distrutta dalle orde di cinici. E il giovane poeta idealista di Angoulême finirà a scrivere annunci pubblicitari».
Ha detto: «Non voglio passi l’idea che perdere le illusioni sia vivere meno, perderle significa vivere di più». Cioè?
«Trovo nella lucidità una forza nuova, ci si fa meno male, si è meno permeabili alle menzogne della vita. Non si può passare l’esistenza in balia delle illusioni, l’ho raccontato già in un film, Marguerite, storia una donna che si illude di essere una grande cantante e il giorno in cui smette di crederlo muore. Io voglio che la vita trionfi, per questo chiudo il film con la frase di Balzac: “Penso a coloro che devono trovare dentro di sé la forza di vivere dopo la disillusione”. La trovo magnifica, è la storia di tutti noi, ci facciamo illusioni in ogni campo, politica, affetti, ne abbiamo bisogno per andare avanti».
«Illusioni perdute» è anche una critica impietosa del mondo letterario, con Dauriat (Depardieu) editore di successo analfabeta, e del giornalismo. Sembra abbia previsto anche il fenomeno delle fake news.
«Certo, perché nacquero allora. Non sono che la conseguenza del giornalismo commerciale allora agli albori. La stampa era un Far West, tutto era permesso, non c’erano leggi precise, i piccoli giornali cercavano gli scandali, si sviluppava il sistema delle recensioni a pagamento così come le inserzioni pubblicitarie, i giornalisti non si facevano scrupoli a monetizzare la loro opinione. Inizia allora la ricerca dell’evento, della polemica».
La scrittura di Balzac è vivacissima, mescola cronaca, politica, filosofia, antropologia, sentimentalismo. Si direbbe uno stile cinematografico. Come ha catturato questa energia?
«È un autore incredibilmente generoso, vuole far ridere, mostrare, emozionare, il suo stile è la ricerca dello spettacolo totale, s’avvicina all’opera lirica. Quando lo leggi senti la musica e la sensazione fisica del movimento, di una società intera in evoluzione, di uomini e donne sui boulevard, nei quartieri di Parigi, nei saloni. È già cinema, letteratura dell’occhio. Non va dimenticato che scrive prima della fotografia, oltre alla riflessione sul mondo lui vuole lasciare una traccia visuale. Viene naturale portarlo al cinema. E mi sono fatto guidare dalla musica».
Ogni epoca vuole il «suo» Balzac?
«Come Marivaux o Racine, l’esplorazione della dimensione esistenziale e affettiva non si esaurisce mai. Ma lui va oltre, racconta la società liberale in cui ancora viviamo. Mi fa ridere sentire che in Cina facessero leggere Papà Goriot per mostrare i danni abominevoli del capitalismo. Marx ha sempre detto di aver capito la società moderna leggendo Balzac, il suo autore preferito, un’ossessione. Hanno voluto fare di Balzac uno scrittore cattolico reazionario ma non era né conservatore né progressista, vedeva e mostrava il lato di commedia della realtà, e si domandava che cosa salvare della bellezza e dell’arte. Il filosofo György Lukács scrisse pagine magnifiche su questo grande romanzo della “capitalizzazione degli spiriti” e della “mercificazione del mondo”. Balzac fissa il momento in cui l’essere degenera in avere e l’avere degenera in apparire. Narra i danni umani, politici, spirituali e artistici provocati da questo terremoto. La domanda è: che cosa puoi salvare di bello in questo mondo?»
La risposta?
«Io la cerco nello stile, nell’educazione al bello, attenzione all’altro ma anche decorazione, architettura, vestiti. Tutti giorni mi mettevo la mano sul cuore pensando a Visconti, tutti i cineasti che fanno un film in costume a un certo punto si trovano a parlare con lui».
Nel film c’è un’allusione piuttosto esplicita a Emmanuel Macron, ex banchiere diventato ministro dell’Economia e ora presidente della Repubblica.
«Anche questo non l’ho inventato, arriva da Balzac, dal suo romanzo La banca Nucingen. È naturale che soldi e politica si mescolino, è un processo inevitabile».