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 2021  dicembre 18 Sabato calendario

In morte di Lucia Hiriart, la vedova di Augusto Pinochet

Elena Marisol Brandolini per il Messaggero
Lucía Hiriart, vedova del dittatore cileno Augusto Pinochet, è morta un paio di giorni fa nel suo appartamento situato nella zona Est di Santiago del Cile, all’età di 99 anni. La notizia è stata data al quotidiano cileno La Tercera dall’ex-capo di scorta di Pinochet e confermata subito dopo da una dichiarazione di uno dei suoi figli. Non appena l’evento è diventato pubblico, alcune migliaia di persone si sono ritrovate in Plaza Italia nella capitale cilena, dalle prime ore del pomeriggio fino a notte fonda, per celebrarne il decesso e lamentarne la fine «senza pagare nulla per quello che fece».
RUOLO CHIAVESecondo gli storici e i giornalisti dell’epoca, infatti, Hiriart giocò un ruolo chiave nella dittatura durata 17 anni, una delle più sanguinarie del Sudamerica che si saldò con 40.000 vittime e oltre 3.000 persone assassinate o fatte sparire per mano della polizia militare. Nelle sue memorie, il generale Pinochet racconta che fu proprio sua moglie a spingerlo verso il golpe del 1973 contro il governo legittimo di Salvador Allende, prospettandogli che altrimenti i loro nipoti sarebbero cresciuti in un futuro di schiavitù.
Hiriart proveniva da una famiglia democratica e antimilitarista di origine basco-francese, parte della élite politica del principio del secolo scorso. Conobbe Pinochet all’età di 16 anni, lui ne aveva 23 ed era un militare di carriera. Dal loro matrimonio, celebrato nel 1943, nacquero tre figlie e due figli. Fin dall’inizio della dittatura diresse la fondazione Cema, che si occupava di sostenere la formazione delle donne povere, sottoposta successivamente a una lunga indagine giudiziaria che ne comportò la dissoluzione dopo avere recuperato 18 milioni di dollari sottratti all’Erario. Da quando era morto suo marito, nel 2006, Hiriart si era ritirata a vita privata; nel 2019 aveva partecipato per l’ultima volta a una iniziativa pubblica, in occasione della celebrazione di una messa per i 13 anni della morte del dittatore.
Il suo decesso avviene alla vigilia di elezioni presidenziali nel paese andino il cui secondo turno si celebrerà domani, molto polarizzate tra i due candidati che esprimono modelli alternativi: il rappresentante dell’estrema destra che rivendica alcuni aspetti della dittatura di Pinochet, José Antonio Kast e il candidato della sinistra Gabriel Boric, che propone un approfondimento del cambio intervenuto negli ultimi due anni con il cosiddetto estallido social. Boric ha commentato la scomparsa della vedova del dittatore che «muore nell’impunità, nonostante il profondo dolore e divisione che causò al nostro paese. Il mio rispetto per le vittime della dittatura della quale fu parte». Kast si è limitato a fare le condoglianze alla famiglia, dichiarando di non volerne fare «un fatto politico» e che non avrebbe partecipato alle esequie perché private.
La presidente del Partido por la Democracia, oggi all’opposizione, Natalia Piergentili ha parlato della «fine di un ciclo», «La morte di qualcuno non è motivo di celebrazione. Magari con ciò sotterrassimo una parte tremenda della nostra storia». La nipote di Allende e deputata del partito socialista Maya Fernández ha commentato il decesso di Hiriart come qualcosa che «ci riporta ai tempi più oscuri del nostro paese e ravviva il dolore di tutte le vittime della dittatura di Pinochet».
EFFETTO SULLE ELEZIONIDifficile capire se la morte della persona più vicina a Pinochet che tanto ruolo ebbe nella dittatura, avrà un effetto sull’appuntamento elettorale di domani. Però è probabilmente vero quello che sostiene Daniel Matamala, uno dei giornalisti più apprezzati della stampa cilena in un’intervista sul quotidiano spagnolo El Diario, quando descrive quello che definisce «il richiamo della tribù».
Ossia, il fatto «che i cileni si dividono, al momento della verità, quando solo rimangono due opzioni, in due tribù: quella del Sì alla continuità di Pinochet e quella del No». In qualche modo, un ritorno al plebiscito del 1988, quando Pinochet fece votare sulla continuità o meno del suo regime.

Il Giornale
Sono scesi in migliaia in piazza per festeggiare la sua morte. E su Twitter è un account parodia, «La vecchia è morta?» seguito da 54.000 persone, che ogni giorno dava notizie sullo stato di salute di Doña Lucia giovedì notte ha pubblicato solo un «Sì», retwittato migliaia di volte. Perchè a morire a 99 anni è Lucia Hiriart, vedova del generale cileno Augusto Pinochet, autore nel 1973 del colpo di stato in Cile contro Salvador Allende, considerata una «donna di ferro» che disponeva di un grande potere nell’ombra durante gli anni della dittatura (1973-1990), lo stesso Pinochet, dal quale ha avuto cinque figli, riconobbe che era una delle persone che più avevano influenzato la sua decisione di guidare il colpo di stato. Hiriart era malata da tempo e, ha riferito la tv Chilevision, negli ultimi mesi era stata ricoverata più volte per problemi respiratori«. La notizia del decesso è stata confermata via Twitter dalla nipote Karina Pinochet:»A 99 anni, circondata da famiglia e persone care, la mia amata nonna è morta. Lascia un’impronta immensa nei nostri cuori. Ha consacrato la sua vita al servizio dei cileni e la storia. saprà dare il giusto valore alla sua grandiosa opera e al lavoro per il nostro amato Paese«. Dalla morte del marito, il 10 marzo 2006, Doña Lucia, come le piaceva essere chiamata, aveva scelto di mantenere un profilo basso e vivere ritirata.

Sara Gandolfi per il Corriere
«Se io fossi a capo del governo, sarei molto più dura di mio marito». I giornali cileni ieri ricordavano così Lucia Hiriart, vedova di Augusto Pinochet, morta a 99 anni. Era la «dictadora», ben più oltranzista del generale che pure sulla coscienza aveva 3216 morti e «desaparecidos», donne e uomini i cui corpi non sono mai stati ritrovati. «Fossi io al comando, metterei tutto il Cile in stato d’assedio» disse nel 1984 la «primera dama» mentre a Santiago imperversavano le proteste contro il regime militare, che sarebbe caduto solo sei anni dopo. Non è un caso che, all’annuncio della sua morte, migliaia di persone siano scese in piazza per festeggiare.
Lucia e Augusto Pinochet, sposati nel 1943, ebbero cinque figli, ma è stata una nipote a dare la notizia ufficiale: «La mia amata nonna lascia un segno immenso nei nostri cuori», ha scritto sui social media Karina Pinochet. C’era anche lei nella stanza in cui nel 1973 si decise il golpe contro Salvador Allende, secondo l’autobiografia dello stesso Pinochet: «Una notte mia moglie mi portò nella stanza dove dormivano i nipotini e mi disse: “Saranno schiavi perché non sei stato in grado di prendere una decisione”». E così lui agì.
Balli, cori, spumante e cartelloni con le foto e i nomi dei «desaparecidos» hanno riempito mercoledì sera Plaza Italia a Santiago. Anche Lucia, per molti cileni, non ha mai pagato per le oltre 40.000 vittime di violazioni dei diritti umani compiute fra il 1973 e il 1990 (Rapporto Retting) e in gran parte impunite grazie alla Legge d’amnistia del 1978, tuttora in vigore, che ha di fatto imposto l’oblio in nome della pacificazione.
L’ombra dei Pinochet pesa come un macigno sul tesissimo ballottaggio presidenziale di domani tra due candidati agli estremi dell’agone politico, e destinati a un testa a testa ricco di suspence. José Antonio Kast del Fronte Sociale Cristiano (estrema destra), che la sinistra ha bollato come erede di Pinochet o «il Bolsonaro del Cile». E Gabriel Boric della coalizione Apruebo Dignidad (sinistra), l’ex leader delle proteste studentesche che la destra definisce «il Maduro del Cile». Sarà un voto cruciale, dopo due anni di crisi economica e pandemica, mentre è in corso la stesura della Costituzione che dovrà sostituire quella ereditata da Pinochet.
Feste in piazza
Folle festanti hanno accolto la notizia della morte con canti e balli nelle piazze del Paese
La morte della vedova Pinochet ha colto di sorpresa entrambi i candidati, nell’ultimo giorno di campagna elettorale. Via Twitter, Boric ha dichiarato: «Lucía Hiriart muore impunemente nonostante il profondo dolore e la divisione che ha causato al Paese. I miei rispetti alle vittime della dittatura di cui faceva parte». Kast ha giocato d’understatement, pur avendo più volte elogiato il regime di Pinochet: «Non voglio fare di questo evento luttuoso un fatto politico».
Comunque vada, il Paese è spaccato e molti cileni si sentono «orfani» di quel centro liberista che ha gestito la transizione dal 1990 ad oggi. I toni sono aspri e divisivi, a conferma di una riconciliazione più che imperfetta. Kast, 55 anni, ha dichiarato ieri che «il Cile non è e non sarà mai un Paese marxista o comunista, con quei discorsi di pace e amore non ci inganneranno». Al primo turno ha superato il rivale con il 27,9% dei voti contro il 25,8%. Boric, 35 anni, però è riuscito ad ottenere per il ballottaggio il sostegno di tutti i partiti di centrosinistra della Concertación, che governò il Cile per due decenni dopo la fine della dittatura. Ha chiuso la sua campagna a pochi metri dal palazzo presidenziale di La Moneda, dichiarando che Kast «porterebbe solo instabilità, odio e violenza, mentre noi siamo quelli che hanno lottato per trasformare il Cile in un Paese più giusto e degno».