il Fatto Quotidiano, 18 dicembre 2021
Ritratto di Willian Faulkner
A inaugurare il gotico sudista di Yoknapatawpha è Sartoris, la cui prima edizione nel 1929 esce mutilata da tagli. Grazie alla traduzione di Carlo Prosperi, il romanzo ritorna in libreria per La nave di Teseo nella sua versione integrale sotto il titolo Bandiere nella polvere. È la storia di una famiglia che, incapace di raccogliere il seme eroico del patriarca John, dopo la Grande guerra va letteralmente in frantumi. Faulkner non rimesta troppo nella fabula perché il personaggio di John Sartoris è ricalcato sul suo bisnonno, colonnello nella guerra di Secessione e autore di best-seller alla fine dell’Ottocento.
Se la vocazione letteraria galleggia nel sangue per via ereditaria, è altrettanto vero che per l’autore Usa scrivere è una sfida perenne contro un destino che lo vuole imbianchino, spalatore di carbone, commesso di libreria. Javier Marías lo immortala in questo ritratto: “Spendeva rapidamente quello che guadagnava, poi viveva a credito per un certo periodo, fino a quando arrivava un nuovo assegno. Saldava i debiti e tornava a spendere, soprattutto in cavalli, tabacco e whisky”. Temperamento a tal punto schivo che, dopo il Nobel conquistato nel 1949, a una festa a Parigi data in suo onore dall’editore, dopo ogni domanda di un giornalista risponde in maniera sommaria e fa un passo indietro. Alla fine, passo dopo passo, si ritrova contro il muro, e soltanto allora i giornalisti smettono di tormentarlo.
Autodidatta e lettore disordinato, è grazie a Sherwood Anderson che nel 1926 debutta con La paga del soldato, parabola di un reduce di guerra che il pubblico ignora. Così come ignora i successivi Zanzare, cronaca divertita di un gruppo di letterati, e Mentre morivo (scritto nei turni di notte da fuochista in una centrale elettrica): viaggio di un padre e cinque figli per seppellire la madre che si trasforma in una rancorosa resa dei conti familiare. I lettori si accorgono della penna di Faulkner con Santuario, storia di un gruppo di sbandati guidati dal capobanda Popeye, sconvolti dall’irruzione nelle loro vite della studentessa Temple. Un intreccio torbido che diventa il suo maggiore successo commerciale. Faulkner lo scrive per denaro: “Ne avevo bisogno per comprare un buon cavallo”. Altro tassello è Luce d’agosto, che segue una ragazza incinta alla ricerca del padre del proprio figlio.
Ma è qualche anno prima, nel 1929 della Grande depressione, che l’autore si conquista la sua fetta d’immortalità. L’urlo e il furore è il capolavoro che definisce “il mio splendido fallimento”. C’è il crollo dell’aristocrazia di provincia, la fine di un mondo amato e odiato nella storia della famiglia Compson, con i suoi segreti e i suoi peccati. Una tragedia raccontata attraverso la voce interiore di diversi personaggi, con i rispettivi punti di vista che si sovrappongono in un flusso di coscienza debitore dell’Ulisse di Joyce. Tre fratelli, tra cui il minorato mentale Benjamin, irretiti da Caddy, la sorella sensuale e libera, che abita le loro fantasie fino a conseguenze tragiche. Nessuna bussola per orientarsi in un labirinto di cambi di prospettiva e di salti temporali, quasi che Faulkner ingaggiasse una tacita competizione intellettuale con il lettore. Quando una trombosi lo uccide nel 1962 lo piange anche il mondo del cinema. Mai amata Hollywood ma le sceneggiature gli consentono di guadagnare. Il trattamento più celebre è quello per Il grande sonno, ricavato dal romanzo di Chandler, con protagonista Humphrey Bogart, che diventa suo grande amico e compagno di sbronze. Hollywood è tanto infingarda che nel 1944 gli capita, fatale scherzo del destino, di tramutare in uno script Avere e non avere dell’arciodiato Hemingway. Una biografia invero memorabile per “un uomo di campagna che ama i libri”.