il Fatto Quotidiano, 18 dicembre 2021
Pasolini e gli scatti di Villa
Millenovecentosettantatré, Esfahan, Persia, Pier Paolo Pasolini sosteneva che il cinema è “il linguaggio della realtà”, Roberto Villa, fotografo al seguito de Il fiore delle Mille e una notte, che “è solo un linguaggio”: la singolar tenzone venne risolta da uno scatto.
Appassionato di linguistica e audiovisivi e fotografo professionista, Villa non era quello di scena ufficiale, ma uno spirito – e un occhio – libero sul set itinerante, dall’Italia all’Eritrea, dallo Yemen al Nepal, passando per l’Iran, del capitolo conclusivo della Trilogia della vita di PPP. Il Fiore è “l’unico film di Pier Paolo che si concluda felicemente, e non a caso è calato in un mondo non cristiano, non cattolico, non occidentale”, rileva Roberto Chiesi del Centro Studi e Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna. Entrando in quell’universo, “Villa guardò, osservò, contemplò e dedicò un’attenzione avida all’umanità che gli formicolava intorno”. Ne venne un mosaico di migliaia di fotografie, bambini e cammelli, edifici e occhi, epifanie e nascondimenti, ovvero “tutto il mondo di dignità e miseria umana che Pasolini amava oltre ogni limite”. A partire dal sesso che – il regista promise al reporter – sarebbe stato nel Fiore “mille volte quello che è comparso nei miei lavori. Un sesso felice, gioioso. Voglio la stessa libertà d’espressione dei vari Decameroticus”.
La messa in scena si trasformò – basti ricordare la schiava Barbara Grandi, vittima predestinata del Demone, doviziosamente ripresa da Villa – in messa a nudo, ovvero strumento politico: “Usare il sesso per raccontare non offende solamente la vuota retorica di uno sclerotico sistema borghese, ma la vuotezza ideologica di coloro che borghesemente si comportano al di là della loro appartenenza di classe”, in primis i “proletari fascisti”.
Di qui il cambio di bussola, lo slittamento longitudinale, la tensione per il sole che sorge: Gli Orienti di Pier Paolo Pasolini. Sottotitolo “Il fiore delle Mille e una notte – Viaggio fotografico di Roberto Villa nel cinema pasoliniano”, il libro per i tipi di Nfc edizioni dà contezza, seppur parziale, di un reportage lungo tre mesi e mezzo e largo dalla Persia dello scià Reza Pahlavi fino alla Yemen già allora in guerra.
Il primo esegeta fu lo stesso Pier Paolo: “Tu Roberto sei stato il regista e io l’attore che non sapevo di essere”. Da molti decenni – e dalla primigenia sistematizzazione nella mostra alla Cineteca di Bologna del 2011 – il lavoro di Villa s’è preso spazio e tempo, riverberando foto per foto una imago mundi sociologica e antropologica, superstite e incantata. Sopra tutto, pasoliniana: “Io amo quel mondo ma senza nostalgia. Lo amo – commentava Pier Paolo nel 1974 – per quello che è ancora e lo amo per quello che è adesso e temo che cambi”. Rimane su pellicola il direttore della fotografia Giuseppe Ruzzolini che a Ta’izz, Yemen, prende le misure per il movimento di macchina tra i due amanti, la schiava Grandi e Shahzamàn Alberto Argentino, rimane su pellicola Pasolini che al “sì, anche il cinema è una finzione” di Villa depone le armi, ossia il privilegio della realtà avocato al cinema, guarda in macchina, stavolta fotografica, e sorride come mai più. Gli Orienti di Pier Paolo Pasolini verrà presentato a marzo 2022 presso la Casa del Cinema di Roma insieme a una selezione degli scatti di Roberto Villa.