la Repubblica, 18 dicembre 2021
a Foggia due bimbi sono morti bruciati dal fuoco acceso per scaldarsi
STORNARA (FOGGIA) – Pagavano per vivere in una baracca di legno, priva di acqua corrente, luce e gas. Questo solo potevano permettersi Marano Dimitrov Denitar e Ghergeva Naidenova – 27 anni lui e 20 lei, entrambi bulgari – con la misera paga del lavoro nei campi: una catapecchia in cui per scaldarsi bisognava bruciare la legna in un bidone. Da quella stufa improvvisata è partito il fuoco che ieri mattina ha divorato i loro due figli, Birka di due anni e Christian di quattro, uccisi nel sonno mentre i genitori erano fuori. Il padre al lavoro, la mamma in un bagno fatiscente a poca distanza, quando ha visto da lontano le fiamme salire da casa sua non ha potuto neanche provare ad entrare e non le è rimasto che pregare. Il suo sguardo, mentre i vigili del fuoco spegnevano il rogo, era perso nel vuoto, le frasi incomprensibili, il dolore così forte da farla accasciare a terra. Poche ore dopo, insieme al marito, ha dovuto rispondere ai carabinieri, che ne valutano le responsabilità nell’ambito dell’inchiesta della pm Roberta Bray. La possibilità che vengano indagati è più che reale, perché la legge segue una strada diversa da quella del dolore. Così come la burocrazia, finora, ha seguito una via che non è riuscita a trovare soluzione al problema della numerosa comunità bulgara che vive nel foggiano.
«Sono stato convocato per domani ( oggi, ndr ) in prefettura» dice il sindaco di Stornara Rocco Calamita. Ma è ormai troppo tardi. Soprattutto perché l’esistenza di quella bomba a orologeria era stata segnalata tante volte negli anni: «Lettere e riunioni – prosegue Calamita – uno sgombero nel 2018, poi le case di legno erano state ricostruite. Adesso è la politica nazionale che deve darci risposte». Perché come dimostrano gli esempi dei ghetti degli africani a poca distanza (Borgo Mezzanone e Rignano Garganico), i braccianti vanno dove c’è lavoro e se il lavoro è irregolare e non gli dà abbastanza per vivere non possono che arrangiarsi in campi di fortuna.
In quello di Stornara d’estate vivono circa mille persone, adesso molti nuclei familiari erano tornati in Bulgaria, per ripresentarsi poi a primavera, ma nel campo c’erano almeno cento bambini come Birka e Christian. Nessuno di loro frequenta la scuola, così come gli adulti non frequentano il paese. Qualcuno si è visto solo negli ultimi mesi per le vaccinazioni anti- Covid: «Nessuno l’ha rifiutata – racconta Anelia Genova, mediatrice culturale dell’associazione Solidaunia – dopo che l’anno scorso nel campo c’è stato un focolaio Covid». La possibilità di ricevere un’assistenza sanitaria altrimenti negata a chi non ha un regolare contratto di lavoro, e che arriva tra le baracche solo di tanto in tanto grazie ai volontari, che trovano dermatiti, problemi intestinali e denti cariati, in una situazione igienico- sanitaria fuori controllo. «Quella dei bulgari è una comunità molto chiusa, in cui è difficile entrare – aggiunge Mohammed Elmajidi della Cisl – Il lavoro è prevalentemente irregolare e vigono forme di caporalato rigide ma non c’è volontà di integrazione». Vogliono lavorare e basta, questi bulgari che cittadini comunitari lo sono solo sulla carta. Una decina di anni fa avevano creato un campo a poca distanza da Foggia, poi fu sgomberato e a centinaia – tra cui i genitori di Birka e Christian – si trasferirono a Stornara, su quel terreno di proprietà di un pregiudicato. Rosaria, una donna romena che da sei mesi vive nello stesso posto, è stata una delle prime ad arrivare davanti alla baracca quando è scoppiato l’incendio: «Il padre dei bambini era al lavoro, la mamma si era spostata da poco tempo, li aveva lasciati dormire». La speranza di chi li conosceva è che dal sonno non si siano mai svegliati, perché il fuoco ne ha divorato i corpicini, sui quali si cercherà di effettuare un’autopsia. I loro nomi sono il numero 8 e 9 della lista dei migranti morti in incendi nei ghetti della vergogna pugliese: prima ce n’erano stati quattro a Borgo Mezzanone, due a Rignano, uno nel campo di Foggia. Bulgaro pure lui. – ha collaborato Tatiana Bellizzi