la Repubblica, 18 dicembre 2021
La Premier League verso lo stop
LONDRA – The show must go on. Ma fino a quando? Giocare o non giocare? Questo è il problema della Premier League, stretta in un labirinto di timori, dilemmi e incertezze, visto che il Covid e la variante Omicron stanno dilagando non solo nel Regno Unito (ieri altri 93.045 nuovi casi di Coronavirus, record di sempre), ma anche nel campionato più bello e ricco del mondo.
Oramai le infezioni nelle squadre – calciatori e staff – si moltiplicano. Il numero esatto è ignoto, ma in questi giorni si è scavallato di certo il centinaio, con club come Manchester United, Chelsea (Lukaku incluso) Aston Villa e il Tottenham di Antonio Conte (già tre partite in meno giocate) “appestati” dal virus. Anche l’allenatore del Manchester City, Pep Guardiola, è forse positivo. Mentre le partite cadono come birilli: anche questo weekend, cancellate cinque su dieci. Che senso ha continuare?
Di qui la tentazione “circuit breaker”.
Ossia, “rompere la catena” dei contagi, con uno stop di qualche settimana alla Premier League. Perché Omicron è troppo contagiosa e il regime di isolamento cui sono sottoposti giocatori e staff non basta più. Pareri? Jürgen Klopp, l’allenatore del Liverpool, non ci sta: «Che senso avrebbe?». Di visione opposta il tecnico della neopromossa Brentford, Thomas Frank: «È l’unica soluzione».
Lunedì allenatori e venti società si parleranno in videocall per trovare la quadra. L’idea che si fa strada è quella di interrompere campionato e coppa d’Inghilterra le prime due settimane dell’anno nuovo. Ma ha senso aspettare altri 15 giorni? Perciò a rischio potrebbe esserci anche il Boxing Day, ossia il tradizionale turno del 26 dicembre. Ma il calendario è fittissimo: di qui a maggio, tra club e nazionali, la Premier League ha solo due turni infrasettimanali liberi. Ripianificare il campionato è un rompicapo impossibile.
In ogni caso, che senso ha aspettare se molti giocatori si ostinano a non vaccinarsi contro il Covid? I numeri in Premier League sono sconfortanti. Se il Paese si è riversato in massa a ricevere la terza dose (lo ha fatto già il 44,5% della popolazione con più di 12 anni), in Premier League solo il 68% dei calciatori a fine ottobre aveva ricevuto due dosi di vaccino. Cifre desolanti rispetto all’Italia (98%) Germania (94%), Francia (95%) e Spagna (90%). Quanti cambieranno idea nel frattempo? E anche se lo facessero, l’immunità ha bisogno di settimane per costituirsi.
C’è poi la grave questione economica. I club, la lega e le loro casse sono già stati martoriati dal Covid la scorsa stagione. Rifermare tutto sarebbe un ferale colpo alla loro sostenibilità finanziaria. Durante il lockdown l’anno scorso, i club hanno perso circa 400 milioni di euro in diritti tv (e 700 in tutto) che ora devono rimborsare ai colossi mediatici. Non solo: le tv non vogliono cancellare le partite delle feste natalizie perché sono le più lucrose in termini di pubblicità. Infine, i club sono in battaglia anche con le compagnie di assicurazione, che ora troverebbero ogni cavillo per non scucire una sterlina visto che ufficialmente il Paese non è in lockdown.
E i tifosi? In Inghilterra l’abbonamento a Sky e altre tv non dà accesso totale alle visioni private, perché i pub hanno l’esclusiva di una parte. Inoltre, Johnson ha imposto i passaporti vaccinali allo stadio. Ma molti fan non si sentono comunque a loro agio o peggio si sono ammalati: giovedì sera, a Chelsea- Everton, molti sedili sugli spalti erano vuoti. Cosa mai vista in Premier League, almeno prima del Covid.