Corriere della Sera, 17 dicembre 2021
Pino Pinelli visto con gli occhi delle figlie
Ci sono tanti modi per scoprire che Babbo Natale non esiste. A Silvia e Claudia Pinelli successe che avevano 9 e 8 anni, la sera del 12 dicembre 1969, e fu piuttosto traumatico: uno svelamento che coincise con una tragedia familiare, ma divenuta ben presto collettiva, un pezzo di storia della nazione.Poliziotti che arrivano in casa al posto del papà – Giuseppe Pinelli detto Pino, ferroviere anarchico di 41 anni –, si mettono a frugare dappertutto e aprono i pacchetti con i regali destinati alle bambine che Pinelli aveva confezionato e nascosto in un armadio, insieme alla moglie Licia. Sotto gli occhi di Silvia e Claudia, che in questo modo vengono a sapere, in rapida sequenza: che Babbo Natale è solo un’invenzione; che quella sera una bomba scoppiata all’interno di una banca ha ucciso e ferito un sacco di persone; che il papà è bloccato in questura e – quattro giorni dopo – che è morto anche lui, volato da una finestra del quarto piano. Poi scopriranno tante altre cose, ma alcune ancora no: sono rimaste misteriose nonostante sia passato più di mezzo secolo.
Il disegno di una bambola e un paio di pattini buttati a terra è uno delle scene più simboliche di Pino, vita accidentale di un anarchico, realizzato da Silvia e Claudia Pinelli insieme ai documentaristi Niccolò Volpato e Claudia Cipriani (Milieu edizioni). Non un fumetto né una graphic novel in senso stretto, bensì un racconto per immagini attraverso disegni e fotografie d’epoca, accompagnate dai ricordi delle figlie di Pinelli che in questo modo proseguono l’opera cominciata dalla moglie Licia, quando si fece intervistare dal giornalista Pino Scaramucci in Una storia quasi soltanto mia.
Questa è la storia delle sue figlie, che in parte coincide ma va oltre, e certamente non appartiene solo alle due bambine diventate donne. Perché insieme alla ricostruzione di emozioni e sentimenti, alla rievocazione di come sono cresciute in una casa prima sempre allegra piena di gente e poi piombata nel dolore, al ricordo dei fotografi appostati in classe per uno scatto alle orfane del ferroviere, ci sono i ritagli di giornali con i titoli sulla strage e quella strana morte aggiuntiva, le foto di piazza Fontana e dei funerali delle vittime, ma anche delle scritte sui muri, delle manifestazioni, delle stragi successive, e poi degli anni Ottanta, Novanta e fino ai Duemila, il G8 di Genova, le Torri gemelle. Un Paese e un mondo in continua evoluzione, ma con i fantasmi del ’69 sempre sullo sfondo; perché mentre tutto cambiava, i processi e la testarda ricerca della verità sulla bomba e sulle ingiuste accuse agli anarchici che avevano ucciso Pinelli (diciottesima vittima della strage, lo definì il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano davanti alla vedova invitata al Quirinale, nel 2009) procedevano a fatica. Arrivando a una tardiva verità sull’eccidio ma arenandosi sulla morte di Pinelli, rimasta senza spiegazioni accettabili e senza colpevoli.
Nel tema delle medie
«Speriamo che il terzo processo faccia trionfare la giustizia liberando gli innocenti»
Nel 1972 Claudia Pinelli faceva la prima media, e svolse un tema intitolato Un fatto di cronaca. Scrisse dell’esplosione nella banca e del «ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli fermato dalla polizia come tanti altri suoi compagni», che «perse la vita in quelle tragiche notti»; raccontò del processo in corso all’altro anarchico Pietro Valpreda, e del rinvio di ben due processi. Concludendo: «Speriamo che il terzo processo sia quello che faccia trionfare la giustizia liberando gli innocenti e imprigionando i colpevoli».
Andò in maniera diversa, i colpevoli furono scoperti solo nel 2005, quando non potevano essere più processati, ma il tema di Claudia, riprodotto con tanto di errori di grammatica corretti dalla professoressa, resta un insostituibile frammento di memoria.
Se ne trova traccia anche in Volo senza grido (Becco giallo), graphic novel più tradizionale sceneggiata da Ilaria Jovine e Roberto Mariotti, con i disegni di Marco Cabras. Il sottotitolo è La lotta di Licia Pinelli, e ripercorre la vita della donna che conobbe suo marito a 24 anni, lo perse a 41 e ha passato il resto della vita a chiedere verità e giustizia, tra tante sconfitte e rinunce: «Si dice durezza, ma è solo la volontà di non cedere e di non arrendersi mai», è la sua frase che chiude il racconto. Oggi Licia ha 93 anni, e le figlie ne hanno raccolto il testimone.