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 2021  dicembre 17 Venerdì calendario

L’importanza del tartufo

La «cerca e cavatura del tartufo in Italia» è entrata a far parte del Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità dell’Unesco. La candidatura era stata presentata dal ministero degli Esteri all’agenzia Onu nel marzo 2020, portando a conclusione la domanda del 2013 delle associazioni dei tartufai ai ministeri della Cultura e delle Politiche agricole. Salgono così a quindici gli elementi italiani che fanno parte del patrimonio culturale immateriale Unesco, tra questi anche l’Opera dei pupi siciliani, il canto a tenore sardo, la dieta mediterranea e l’arte del «pizzaiuolo napoletano». In Italia si stimano in 70-80 mila i cavatori riuniti nella Federazione nazionale tartufai italiani e nell’Associazione nazionale città del tartufo. Sono distribuiti in quattordici Regioni e costituiscono un’importante fonte di reddito nelle aree interne rurali, di collina e di media montagna.I personaggi
Quello di Alba è il più famoso perché dopo la guerra il proprietario dell’hotel Savona regalò gli esemplari più belli a Truman e a Krusciov
U na volta per tartufi si andava al tramonto, quando si spegneva ogni rumore, e si rientrava a mezzanotte. Oggi, alle tre del mattino le Langhe si sono appena addormentate. Le colline di Beppe Fenoglio – per Pavese, vero capo dell’Einaudi finché visse, le Langhe erano un mito letterario; per Fenoglio, impiegato della Marengo Vini, erano la vita – sono tutte un bed&breakfast; nei ristoranti si cena fino a tardi come a Taormina, nelle pizzerie si brinda rumorosamente tipo Positano. I veri trifulau escono solo quando dormono proprio tutti. Dicono che la trifula è come la pesca: matura all’improvviso, e bisogna cogliere l’attimo.
L’Unesco ha premiato non tanto il tubero, quanto la cultura che c’è dietro, l’arte della cerca e quella ancora più sottile di cavare il tartufo senza farlo mangiare o anche solo rovinare dai cani. I cani giovani sembrano mediani che vanno su tutti i palloni: appena sentono il profumo impazziscono, saltano, mugolano, cominciano freneticamente a scavare, e appena intravedono il tartufo vorrebbero divorarlo. I cani esperti dosano le energie, trotterellano qua e là, sanno distinguere le false piste da quelle buone, danno appena una grattata con le zampe per indicare il posto giusto, e lasciano che sia il padrone con la zappetta a fare il resto; poi si mettono lì ad aspettare il premio, il croccantino o il biscotto.
In Langa circolano leggende nere sull’addestramento dei cani, che verrebbero maltrattati, malnutriti, talora picchiati, comunque abituati ad associare l’idea del cibo a quella del tartufo, e magari avvelenati dai rivali. Certo tra i cercatori la rivalità esiste, ma il cane in Langa è come il cavallo al Palio di Siena: è sacro, e nessuno – almeno in tempi moderni – farebbe del male all’animale; al limite si tagliano le gomme dell’auto al padrone.
I personaggi
Quello di Alba è il più famoso perché dopo la guerra il proprietario dell’hotel Savona regalò gli esemplari più belli a Truman e a Krusciov
I trifulau praticano l’arte dell’understatement. Nessuno prometterà mai di trovare il tartufo. Una passeggiata nei boschi delle Langhe in Piemonte – o di Zocca in Emilia, o di San Miniato in Toscana, o di Norcia in Umbria, o di Acqualagna nelle Marche... – è un’esperienza che andrebbe fatta almeno una volta nella vita. La regola numero uno è che il cercatore si lamenta. Sempre. «Non so se troviamo. In una serata di nebbia così, bella umida, ancora dieci anni fa avrei tirato su almeno un chilo di roba. Una volta i boschi erano belli puliti, tutte queste foglie non c’erano, le raccoglievano i contadini per fare il letto alle mucche, e il muschio lo prendevano i bambini per fare il presepe. Oggi di contadini ce ne sono sempre meno. Al mio paese eravamo duecento e siamo rimasti settanta. Adesso i boschi sono pieni di rami spezzati, di terra franata, di fango. I cani passano e non sentono niente. Devono essere molto, molto bene addestrati...». Ovviamente, i cani del cercatore sono sempre molto bene addestrati, e il tartufo si trova quasi sempre. All’inizio lo sente solo il cane, poi quando si comincia a scavare diventa percettibile anche da olfatti umani. Ma il trifulau è scettico sino all’ultimo: «A l’è neira», potrebbe essere un banale tartufo nero. Invece è bianca. «A l’è cita», è piccola, scuote la testa il cercatore. Invece a volte escono tuberi prodigiosi da cento grammi. Ne ricordo uno avvolto attorno alla radice di un nocciolo, che aveva scavato un solco dentro il tartufo, più profumato che bello. Il trifulau mi disse: «Vedi che non ti prendo in giro? Io non faccio come quelli che li seppelliscono di giorno per farli trovare ai forestieri la notte». Davvero ci sono quelli che li seppelliscono di giorno per farli trovare ai forestieri la notte? «Come no! C’è uno che ha un ristorante verso Monchiero e porta i mericani e gli svizzeri a prendere le trifule che ha nascosto lui. Ma un vicino lo sapeva, l’ha seguito, e mentre lui andava a prendere i mericani gliele ha rubate. Poi se l’è mangiate con gli amici».
Il tartufo è anche un mito. A molti non pare così buono come si racconta, e comunque valutano che non valga la spesa; del resto un mito non ha prezzo. L’importante è evitare di sprecarlo su cibi crudi o troppo conditi. Neppure sull’uovo il tartufo dà il meglio di sé: il rosso è troppo saporito, e il bianco non sa di nulla. L’ideale è grattarlo sulla fonduta. Oppure sul risotto o sulle tagliatelle (in Langa tajarin), purché morbidi, burrosi, mantecati, e mai asciutti. Quello di Alba è il più famoso perché dopo la guerra il proprietario dell’allora unico albergo della città, Giacomo Morra dell’hotel Savona, ebbe l’idea di regalare gli esemplari più belli non a De Gasperi e a Togliatti, ma a Truman (poi a Eisenhower) e a Krusciov; e le foto dei presidenti americani e del padrone del Cremlino che si rigiravano in mano quel misterioso tubero profumato fecero il giro del mondo. Ma ovviamente sono ottimi anche i tartufi del Roero, del Monferrato, e della varie parti d’Italia (buono anche quello dell’Istria e della Romania).
Il record
Ogni paese ha almeno un cercatore che è stato il più grande delle Langhe: ancora si narra di Magiur che nel 1969 ne trovò uno da un chilo e duecento
Una volta, in Langa la notte era normale incontrare la volpe, il tasso, lo scoiattolo, la beccaccia, il cinghiale. Oggi i cinghiali è più facile vederli davanti ai cassonetti dei rifiuti di Roma. In compenso sono arrivati nei boschi uccelli che in collina non si erano mai visti: aironi, cormorani, pure i gabbiani. Ma la cosa più divertente è quando un trifulau incontra un altro trifulau. Allora ognuno esercita l’arte della dissimulazione onesta: si «mette pietoso», cioè assume un’aria mesta, finge di non aver trovato nulla, assicura che è stata una notte triste e infruttuosa; e più sono le trifule nascoste sotto la giacca, più il trifulau piange miseria. Ogni paese poi ha almeno un cercatore che è stato il più grande delle Langhe: a Costamagna ancora si racconta di Magiur, Maggiore, che nel 1969 trovò un tartufo da un chilo e due, grande come un cavolo. Oggi il più bravo è Luigino di Monforte, che di giorno fa l’operaio alla Ferrero e di notte va nei boschi: prima la Nutella, poi la trifula. Non si potrebbe vivere meglio di così.
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