la Repubblica, 17 dicembre 2021
Intervista ad Alessandro Bastoni
MILANO – A ventidue anni è campione d’Italia con l’Inter e d’Europa con la Nazionale. Ora Alessandro Bastoni lotta con i suoi compagni per la seconda stella e il sogno Champions.
Quando ha capito che davvero sarebbe diventato calciatore?
«A Parma in Serie A. Alla prima da titolare mi sono detto: Ale, se fai bene questa è fatta. Abbiamo vinto a Torino e ho finalmente potuto prendere in giro mio papà».
Lui ha giocato nella Cremonese.
«Quando ero bambino faceva il fenomeno per questo. Ora sono io a ricordargli che non ha fatto mezza partita in A, ma pensa di essere ancora più forte di me. Ci scherziamo perché sappiamo che qui ci siamo arrivati insieme».
Sui parastinchi ha impressa l’immagine dei suoi fratelli.
«Sì e li bacio prima delle partite. Ho scelto il numero 95 perché è l’anno di nascita del maggiore. Il piccolo mi ha detto: e io? Così mi è venuta quest’idea. Non ci sono invidie fra noi e sono fortunato per questo».
Giocano a calcio anche loro?
«Il più grande è arrivato in Serie C, poi ha scelto lo studio. Il piccolo ha un rifiuto per il calcio. Mi chiede di raccontargli qualcosa per rispondere alle domande dei suoi amici».
Dopo l’Europeo è tornato all’oratorio dove ha cominciato.
«È stato bello, mi sono identificato nei bambini. Ero un ragazzino competitivo che sognava di diventare calciatore, come loro».
Come si trasforma il talento in successo?
«Nelle giovanili dell’Atalanta ho incontrato ragazzi più talentuosi di me. Mi allenavo con compagni più grandi, facevo fatica. Mio padre mi ha insegnato a non mollare. Per anni mi ha accompagnato da Cremona a Zingonia e ritorno, 130 chilometri senza mai farmelo pesare. In un’altra famiglia, oggi forse farei un altro mestiere».
Era tifoso da bambino?
«Papà, sanguigno interista, mi ha passato la fede. Quando sbaglio una partita mi tiene il muso».
Sua madre alla festa scudetto la imboccò con la pizza e le pulì la bocca con un tovagliolo.
«La sento sempre vicina. Mi dà pace tornare da lei a mangiare un piatto di tortelli. Fatti in casa, così il nutrizionista non si arrabbia».
Lei ha piedi e visione da regista.
Chi l’ha inventata difensore?
«Ho sempre giocato dietro. Le qualità tecniche sono venute all’Atalanta con Mino Favini e con Gianluca Polistina. Passavano ore a migliorarci».
Chi è il suo idolo nel calcio?
«Sergio Ramos. Ammiro tutto di lui, come sta in campo, la personalità. Per il compleanno mi ha regalato la sua maglia. Ho anche potuto parlarci».
Cosa vi siete detti?
«Bella domanda, parlava spagnolo… Ma ho percepito la persona, oltre al giocatore. Come con Materazzi».
Ramos e Materazzi. La cattiveria agonistica si impara o è una dote?
«Puoi lavorarci, ma non è semplice.
Comunque è una leggenda che i giocatori bravi tecnicamente siano molli di carattere».
Vorrebbe essere più cattivo?
«No, anzi. C’è stato un periodo in cui prendevo troppi cartellini. Certo, posso crescere in tutto, grazie a compagni eccezionali».
Dove può arrivare questa Inter?
«È bello avere lo scudetto sul petto, proveremo in tutti i modi a tenercelo. Poi c’è la Champions».
Come ha reagito quando all’Ajax si è sostituito il Liverpool, per un sorteggio errato?
«Io non bestemmio, se è questa la domanda. Ho anche scritto la prefazione al libro di un parroco.
Scherzi a parte, dovremo fare due grandi partite.
Giocare ad Anfield sarà stupendo».
Vi divertite in campo?
«Sì. Inzaghi ci ha dato la libertà che permette di ricordarci che il calcio è un gioco. Tranne quando perdi».
Con il Cagliari lei è entrato in area avversaria dribblando chiunque…
«Ogni tanto mi piace uscire dalla mia zona. Vista l’occasione, ho provato a
segnare. Non è andata bene, speriamo nella prossima».
Fuori dal campo scherzate sempre come sembra, o i social esagerano la realtà?
«I social purtroppo non esagerano un bel niente … Diciamo che abbiamo molta voglia di divertirci».
Chi vince fra voi a freccette?
«“Brozo” è il campione indiscusso».
Gasperini, Conte, Inzaghi, Mancini. In base al carattere, che coppie formerebbe?
«Metto Gasperini con Conte e Mancini con Inzaghi. I primi due sono sempre sul pezzo. Inzaghi e Mancini, oltre al fortissimo impegno, curano il contatto umano. Il risultato è che sei più rilassato nei momenti cruciali».
Conte blindò la difesa abbassando il baricentro della squadra. Inzaghi ha invece alzato il pressing.
«Oggi abbiamo meno possibilità di contropiede. Edin e Romelu sono diversi, ci siamo adattati».
Sente la responsabilità di dover ereditare la difesa della Nazionale da Bonucci e Chiellini?
«Sento semmai la fretta. Non vedo l’ora di essere protagonista anche lì».
L’unico errore vistoso della sua carriera è stato in Italia-Spagna all’Europeo, ma è stato capace di tornare subito sui suoi livelli. Dove ha trovato questa maturità?
«È carattere, sono tranquillo. Oltre al calcio ho sempre in testa altri pensieri che mi danno pace. A partire da mia figlia, che nascerà a gennaio».
Come la chiamerete?
«Me lo dirà la mia compagna quando avrà deciso! Condivide i miei valori: educazione, riconoscenza, generosità. Studia design. Voglio che trovi un bel lavoro. La sua realizzazione è importante come la mia».
Se l’Italia non dovesse farcela a marzo, l’assenza dal Mondiale si allungherebbe a 12 anni. Il pensiero la spaventa?
«Non è nell’anticamera del nostro cervello. Siamo campioni d’Europa in carica, dobbiamo farcela».
Chi meritava il Pallone d’oro?
«Visto che io non ero in lista, Lewandowski o Jorginho».
In Nazionale deve ancora batterli lui i rigori?
«Certo, come Lautaro all’Inter. Solo chi non tira i rigori non li sbaglia».
Con Eriksen vi sentite?
«Sì, è stato lui a rassicurare noi, non viceversa. Gli auguro di vivere la vita che desidera e che merita. Oltre che un campione è una grande persona».
Con Hakimi e Lukaku?
«Hakimi è mio compagno alla Playstation, ed è scarsissimo. A Romelu ho fatto l’in bocca al lupo per la nuova avventura».
Lo schema del lancio per Barella del 2-0 in Inter-Juve se l’è portato in Inghilterra Conte?
«No, lo proviamo sempre. Ho vinto l’ultima partitella con quello schema. Il problema è che gli avversari ci studiano, dovremo inventarci cose nuove».