la Repubblica, 17 dicembre 2021
L’album di famiglia dei comunisti italiani
«Roma sparita. Scene di vita»: nulla più che un album di foto è in grado di restituirci, come l’impossibile carezza di un morto, la disperata vitalità di un mondo finito che ancora ci afferra tra nostalgia ed estraniamento.
Forse è questo il grumo di sensazioni provate da quei romani che martedì hanno varcato il portone di Botteghe Oscure, ventuno anni dopo l’ultima volta, sembra passato un secolo o forse due, accolti dal gran cerimoniere Ugo Sposetti, per assistere alla presentazione di un bellissimo libro In movimento e in posa. Album dei comunisti italiani (Marsilio, euro 39). Un volume curato dal fotografo Marco Delogu e dallo storico Francesco Giasi, direttore della Fondazione Antonio Gramsci, al quale va il merito di avere scovato un titolo “politico” tanto poetico e azzeccato.
Si tratta di poco meno di duecento foto rigorosamente in bianco e nero (una scelta stilistica che aumenta l’estraniamento – l’effetto Alinari – perché la storia rossa del Pci è stata soprattutto una storia colorata dai mille colori della storia d’Italia) che restituiscono una duplice ambizione/emozione: raccontare per immagini, nell’anno del centenario della nascita, la storia di quel partito che non è morto e neppure si è sciolto, ma si è misteriosamente dissolto con un traumatico processo di rimozione e ricostruire il suo rapporto con la fotografia dalla Liberazione in avanti, sulla scia di un impegno che ha avuto nella compianta Eva Paola Amendola, nipote di Giorgio, una precorritrice. Una relazione di tipo proprietario perché il Pci, grazie alle sue tante testate storiche «educatrici nazionali» (su tutte l’Unità, Rinascita e Vie Nuove con i loro «romanzi d’appendice») e a un formidabile ufficio di propaganda divenne presto produttore dell’immagine di sé e allo stesso tempo oggetto di un racconto «nazional-popolare». In un’intervista a Domenica In del 12 novembre 1989, a pochi giorni dalla caduta del Muro di Berlino, commentando le conseguenze di quei sorprendenti e improvvisi fatti sul Pci, la presidentessa della Camera Nilde Iotti diede una fulminante risposta: «gli album di famiglia non si bruciano, mai». E per fortuna perché altrimenti questo volume oggi non esisterebbe e sarebbe un grave peccato. Il principale merito di questo lavoro, infatti, è quello di restituire una storia del Pci per immagini senza che le foto abbiano, come spesso accade in opere simili un carattere didascalico ed esornativo, ma costituiscono invece di per sé la spina dorsale di una narrazione autonoma. Queste immagini restituiscono, prima agli occhi e poi al cuore, l’esperienza storica, umana, civile e politica di quello che è stato il più grande Partito comunista d’occidente; una testimonianza che ha coinvolto milioni di persone, unite da un sentimento di appartenenza e da uno spirito di comunità in cui la dimensione internazionale non è mai stata separabile da una matrice nazionale, quella “diversità” snodatasi lungo il quartetto storico Gramsci, Togliatti, Longo e Berlinguer.
In un’opera, proprio come nella vita, a volte, è possibile capire più dall’assenza di qualcosa che non da una ingombrante presenza. In questo caso, ad esempio, le foto dei primi anni di vita del Pci sono pochissime perché quel partito era allora costretto alla clandestinità dal fascismo e quando si è clandestini non ci si fotografa, ma ti fotografano quando ti acciuffano in una foto segnaletica: l’inchiostro del pollice come cornice.
Ma il Pci, dal tempo della Libertà d’Italia in poi, è stato soprattutto un partito popolare di massa, ossia un calabrone che ha saputo volare con un battito d’ali di settant’anni esatti o, se si preferisce, un animale strano ma reale come la giraffa – e i due curatori, con un raffinato lavoro di ricerca iconografica, hanno scelto di rappresentare la vita del partito non solo mediante le immagini del gruppo dirigente ma soprattutto attraverso foto che raffigurano militanti, sezioni, comizi e cortei oceanici e Feste de l’Unità con i loro riti conviviali (come “il bucatino all’amatriciana” nella sezione romana di San Basilio nei giorni delle elezioni politiche del 1963). E poi i funerali, tanti, perché come facevano i funerali i comunisti, nessuno mai.
Alcuni scatti sono a cura di fotografi conosciuti, altri invece sono del tutto inediti e anonimi, ma ciò che li accomuna è la straordinaria capacità di restituire le grandi trasformazioni degli scenari, dei volti e dei costumi di un partito e di una «Italia sparita. Scene di vita» che non c’è più.