Pierluigi Panza per il “Corriere della Sera”, 17 dicembre 2021
CANOVA ERA UN GRANDE REPRESSO? AL MART DI ROVERETO, PRESIEDUTO DA SGARBI, UNA MOSTRA RACCOGLIE OLTRE 200 OPERE DALL’OTTOCENTO AI GIORNI NOSTRI PER CELEBRARE IL GENIO DI POSSAGNO ATTRAVERSO I LAVORI DI ALTRI ARTISTI, IN PARTICOLARE SCULTORI E FOTOGRAFI – PANZA SCODELLA LE LETTERE DI ANTONIO CANOVA: “NON FACCIO L'AMORE CON RAGAZZE NUBILI, E NEMMENO CON MARITATE. MOGLIE SPERO DI NON PRENDERLA PIÙ, O ALMENO SE LO DOVESSI FARE LA PRENDEREI AVANZATA, PER POTER..." -
Antonio Canova non era peccaminoso. In una lettera all'amico Giuseppe Falier del 2 marzo 1782 (quando aveva 25 anni!) scrive: «Mi sembra impossibile che Lei si mantenghi ancora nella credenza ch' io sia amogliato; non lo sono, non faccio l'amore con ragazze nubili, e nemeno con maritate, anzi mi avanzo a dirgli che pocchi celibi viverano lontani dalle done come fo io».
Una tesi ribadita allo stesso dodici anni dopo (20 dicembre 1794): «Moglie spero di non prenderla più, o almeno se lo dovessi fare la prenderei avanzata, per poter vivere sempre quieto ed attendere alla mia arte, che tanto a me che esige tutto l'uomo senza perdere un momento».
Dunque, il «peccato» al quale fa riferimento la mostra Canova tra innocenza e peccato al Mart di Rovereto (presieduto da Vittorio Sgarbi) da oggi fino al 18 aprile non sta nell'artista, ma negli occhi di chi guarda le sue opere, mentre la bellezza, potremmo affermare, è scolpita nel marmo.
Non che Canova mai amò donna (ci sono Domenica Volpato, Delphine de Custine, Juliette Récamier), ma maggiormente amò plasmare creta e gesso con armonia, equilibrio e grazia e dunque in lui vive l'innocenza mentre il peccato va cercato nei posteri, che trasfigurarono quei nudi e quelle carni spogliandole della mediazione estetica che la sua mano aveva impresso. Ciò avvenne in maniera radicale nelle declinazioni dei linguaggi contemporanei, in particolare con lo strumento della fotografia.
Osservando Canova (questo poteva essere anche il titolo della mostra) gli atei dietro l'obiettivo spogliarono le statue del religioso artista di Possagno, al massimo ispirate a un paganesimo antico depurato da orge e baccanali. Alcune delle quattordici opere di Canova esposte sotto la grande cupola del museo progettato da Mario Botta sono dei notevoli gessi, come l'Endimione dormiente (1819), Amore e Psiche stanti (1800), la Danzatrice con mani sui fianchi (1810), la Venere Italica (1811) e la Maddalena penitente (1796) tutti provenienti dalla Gypsotheca di Possagno (presieduta da Vittorio Sgarbi). Più alcuni busti in marmo e tempere su carta. Ma il senso dell'esposizione non sta in queste ma nel dopo, ovvero nella ricerca di quali scultori e fotografi del Novecento hanno creato opere che si possono connettere - non direi ispirare - alla vasta produzione di Canova.
Qui si spazia molto, dall'esplicitamente correlato all'accostamento di fantasia per similitudine o amicizia come nel campo vasto delle tassonomie secentesche. Il Tondo CanOvAuroborus di Luigi Ontani del 2017, per esempio, è un diretto omaggio allo scultore; l'Herma di Man Ray del 1971 può essere una evoluzione; gli Ecce homo di Ducrot del 2014 sono una connessione da costruire; le terrecotte di Ettore Greco sono esplicite riproduzioni di personaggi veneti scolpiti da Canova mentre delle copie postmoderne con inserti sono quelle di Fabio Viale, Fabio Novembre, Aurelio Amendola. La Venus Vertical Erosion di Massimiliano Pelletti sembra uscita dal galeone sommerso di Damien Hirst. Inoltrarsi nelle foto di nudo per vederci il «peccato» originato da Canova, come se in lui ci fosse un celato peccato originale, è facile come puro regarder ma più fragile dal punto di vista storico-critico. Qui la mostra si fa narrazione per episodi e dichiarati tradimenti. Le stampe di Luigi Spina sono dei Canova di scorcio che cercano «l'imperfezione» mentre quelle di Paolo Marton dei Canova neoallestiti.
Se ci addentriamo nell'erotica d'autore troviamo Caino di Wilhelm von Gloeden, le stampe alla gelatina di Robert Mapplethorpe, quelle a getto d'inchiostro di Helmut Newton, il pre-porno anni Sessanta di Miroslav Tichy - che non credo abbia «riscritto il codice del corpo» - sino ai nudi di Roberto Bolle fotografato da Douglas Kirkland.
Di certo, dopo Marinetti Canova è fatto prigioniero e alla sua ricerca del divino si è opposta una ricerca del terreno, dell'immaginario erotico. E così, travestiti, malformati, prostitute, mutilati, reietti, nani e storpi diventano il repertorio da film dell'orrore di Joel Peter Witkin, che ha vertice nel suo Portrait as a Vanite , un caravaggesco anticanova.
Con le sue The Graces , tre transessuali mascherati con in mano il cranio di una scimmia, il viaggio intorno a Canova ci ha ormai portati nell'emisfero opposto a Possagno, dove ad attenderci ci sono il ceco Jan Saudek e Ilona Staller con l'amerikano Jeff Koons sul set di Made in Heaven . Il principe perpetuo dell'Accademia di San Luca non entrerebbe mai nella loro stanza da motel, ma l'Arte è sempre un «diventare arte» grazie a nuovi discorsi e quindi un Canova impertinente, vivo e scatenato forse c'è anche qui.
Ciò significa che il «nuovo Fidia» fu un grande represso? Freud non c'era ancora e, quindi, ringraziamolo per i capolavori riportati in Italia nel 1815 e lasciamolo stare. Intanto, grazie alla vittoria di 784 mila euro dal bando del ministero della Cultura, alle soglie del duecentesimo anniversario della morte di Canova il Comune di Possagno, in collaborazione con il Museo Canova, si è aggiudicato le risorse per realizzare il progetto di «Restauro e digitalizzazione del complesso architettonico canoviano» sull'Ala Ottocentesca, fatta edificare dal fratellastro dello scultore, il bassanese Giovanni Battista Sartori, per ospitare le opere canoviane appositamente trasportate da Roma, sede di lavoro dell'artista.