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 2021  dicembre 16 Giovedì calendario

Una biografia di Rabin


Mi sono seduto alla scrivania per cercare di scrivere su Rabin. Quello che m’interessa è tentare di definire una strategia cinematografica teatrale e museale che si è protratta per venticinque anni. Antoine immaginava una sorta di biografia parallela, ma non è abbastanza umile, nonostante qualche elemento in comune nel modo in cui Rosa, della stirpe dei Rabin, e mia nonna Esther, della stirpe dei Fink Feinsold, percepivano il mondo. Percezioni di un socialismo umanista non centralizzato non bolscevico. Un socialismo rivolto ai lavoratori forse sotto l’influenza della religione del lavoro di A.D. Gordon o dei narodniki di Tolstoj, che auspicavano il ritorno alla natura e forse ispirarono coloro che inventarono l’idea di kibbutz. Si racconta che Rosa marciasse in testa all’epoca delle manifestazioni del Primo maggio con una bandiera rossa in contrapposizione a quella dei revisionisti di Žabotinskij. Eliahou, il padre di mia madre Efratia, uno dei redattori del giornale Hapoel Hatzair, credeva in un socialismo democratico, forse quello della sintesi spagnola tra il socialismo e le correnti anarchiche, quei movimenti sradicati dai franchisti nella Repubblica di Spagna con l’aiuto dell’Unione Sovietica. Il che ci ricorda un po’ la frammentazione dell’opposizione al bibi-ismo, quella divisione che indebolisce le forze democratiche al momento delle grandi svolte epocali.È già da diverso tempo che Israele è in procinto di prendere delle decisioni e dobbiamo sperare che Netanyahu non arrivi a dividere, attaccare, indebolire delle cellule importanti della società israeliana, prede potenziali di un virus distruttore. Ci ricordiamo bene che Albert Camus ha già descritto per noi la figura del dottore in piena epidemia di peste, il guaritore che corre dei rischi e può pagarli con la propria vita.Ma torniamo a Rabin. Torniamo alla speranza. Torniamo alla stima e non all’ammirazione.Antoine mi ha chiesto perché m’interessasse Rabin. Ottima domanda. Perché Rabin è un generale, un militare. Non io. Anche se dovevo fare il pilota. Ma ho prestato servizio militare nell’unità Egoz. Ho assistito a un conflitto sanguinoso. Ed è possibile che sia anche giunto alla conclusione che sarebbe stato preferibile astenersene o, come diceva Rabin, meglio le sofferenze della pace che gli orrori della guerra. Ero in un’unità di soccorso durante la guerra dello Yom Kippur. Dovevamo andare in aiuto dei feriti in elicottero per portarli in ospedale. E il quinto giorno del conflitto, l’11 ottobre, il giorno del mio compleanno alle 9 del mattino sorvolavamo il Golan per andare a soccorrere Schneider, un pilota il cui aereo era stato abbattuto. E l’elicottero su cui mi trovavo fu colpito da un missile siriano. Gadi Klein, il secondo pilota, rimase ucciso. Gli altri feriti. E io sono qui. Testimone.Sono certamente vivo per raccontare questa storia. E altre. Alcune sono un lascito dei miei genitori: Efratia, mia madre che sapeva tessere e unire così bene le storie della famiglia, della nazione e del pianeta, e Munio, mio padre, l’architetto che costruì rifugi per i vivi e Yad Vashem per i morti. Munio ha lasciato un’enorme quantità di disegni commoventi per sensibilità e bellezza. Un’estetica della sobrietà. Niente kitsch. Un’estetica dei fatti, delle emozioni contenute. Quella che amo. È vero, Rabin era un generale e io sono solo un architetto, figlio di architetto, padre di architetto, costruttore di film. Sono probabilmente le normali relazioni tra una figura che plasmava la realtà e un’altra che modella la memoria. Non sottostimiamo la memoria. Gli autori dei grandi testi mitologici o storici, coloro che hanno creato l’iconografia della loro epoca, ci hanno lasciato dei frammenti di memoria che forgiano la realtà a modo loro.Quasi si direbbe che Rabin incarna per noi questa bella frase che lo scrittore biblico mette in bocca a Mardocheo quando si rivolge alla regina Esther. «Chi sa se non sei diventata regina appunto per un tempo come questo?». Ottima domanda sul destino. Tutta la biografia di Rabin, sin dalla sua nascita nel quartiere ebraico della città vecchia di Gerusalemme. Il suo desiderio di diventare agronomo, in altre parole di realizzare il progetto socialista sionista di trasformare da cima a fondo l’esistenza ebrea nella diaspora. Non essere più soltanto commercianti e intellettuali, ma d’ora in poi contadini e soldati. Rabin voleva fare l’agricoltore, ma diventò soldato. Nelle mie conversazioni con Rabin, alcune a Washington, altre a Gerusalemme egli mi parla anche del suo incontro con Gamal Abd el-Nasser nel 1949. Già all’epoca pensava che fosse l’ultimo conflitto. Invece no. Ogni pochi anni il Medio Oriente ci chiama alla guerra e nell’intervallo a un’ostilità costante. Può darsi che questa macabra ripetizione risvegli la Nemesi Rabin e gli metta in testa l’idea che sarebbe d’aiuto cercare di risparmiarci questa esperienza di un ciclo perpetuo di battaglie. Rabin sente che è il momento di affrontare il conflitto più complesso in questo paese, il conflitto israelo-palestinese.Bisogna dire che le guerre d’Israele contro gli eserciti arabi sono delle battaglie tra pari, tra paesi vicini. L’Egitto, la Siria, la Giordania, l’Iraq, l’Iran hanno anch’essi delle armi e delle macchine da guerra, aerei, carrarmati, diversi tipi di bombe nelle guerre del ’48, ’56, ’67, ’73 vinte da Israele. Ma il conflitto israelo- palestinese è diverso. Questo paese che noi israeliani denominiamo Israele è anche il paese di coloro che lo chiamano Palestina. È il luogo in cui si è forgiata la loro identità nazionale. Qui mi torna in mente il poeta e scrittore palestinese Emile Habibi, che mi aveva detto proprio ciò che ho appena scritto.Rabin decide, con un coraggio straordinario, di affrontare senza giri di parole il problema più difficile e complesso.(…) Mi si chiede talvolta perché faccio dei film, in particolare in Israele. In genere rispondo che giro un film quando qualcosa mi tocca profondamente o mi turba. Quasi come Shakespeare Rabin esitava a recarsi alla manifestazione. Una sorta di voce interiore, un’intuizione gli suggerivano di non andare. Come Calpurnia nel Giulio Cesare di Shakespeare all’inizio lui dice alla moglie Leah che gli fa male un occhio. Leah fa venire un oftalmologo. Il medico ritiene che non sia grave. Poi Rabin esce sul balcone e commenta «Sta per piovere, non verrà nessuno». Ma non piove. In un ultimo tentativo chiede a Niva Lanir se c’è gente al raduno.Niva gli risponde che le strade sono affollate. Rabin si reca alla manifestazione e viene ucciso.