La Stampa, 16 dicembre 2021
Tondelli raccontato dai suoi amici
Intorno a Tondelli sembrava esserci un partito, ha detto una volta Gianni Celati. Lo ricorda Enrico Palandri, nella postfazione di Lo scrittore giovane (Bompiani), un titolo che Tondelli non avrebbe amato perché non amava la categorie e perché conosceva questo paese, che dei giovani si serve come ci si serve delle donne ai convegni, e la giovinezza la fa scontare come si sconta un crimine culturale: con l’irrisione.Scrive Palandri che quel partito era fatto di persone che amavano Pier (o Vicky) perché nella sua letteratura trovavano la chance di «promuovere un nuovo orizzonte di relazioni umane: per le persone che attraverso il suo lavoro hanno vissuto l’emancipazione della propria vita emotiva dall’ambito ristretto e provinciale così finemente descritto in Camere Separate a una visione più aperta e consapevole». Valeva quando Tondelli era vivo. Trent’anni dopo, oggi, quel partito è fatto anche di ventenni che lo scoprono per decine di ragioni, tutte di afferenza del loro tempo (il nostro) agli anni Ottanta, e per le intuizioni sulla libertà, anch’esse afferenti a quelle dei libri di Tondelli. Ciò che, a questo momento, quei libri raccontano è che cosa significa prendere possesso di sé, la fatica che costa l’identità, quando è una scelta, o una scoperta o, ancora, una derivazione. Nella ridefinizione di quello che sottende e compone il noi, e quindi le comunità, che i ragazzi stanno portando avanti, trasformando il linguaggio, moltiplicando le accortezze, chiedendo diritti nuovi, c’è il vibrante punto di contatto tra loro e Tondelli, la tessera di quel partito che si rinnova e allarga. Scrive sempre Palandri che è difficile capire se Tondelli resterà nella storia della nostra letteratura e come, poiché ancora «devono farsi obsolete le opinioni politiche, i manierismi delle cricche letterarie e sociali, deve morire il rumore del mondo, affinché riemerga il timbro con cui l’ autore ha affermato il proprio contrasto con la sua epoca». Tuttavia, ora che tutto scricchiola perché c’è una generazione che piccona, la parola di Tondelli torna viva e cercata. Di quel partito, si comprende un’altra ragione: Tondelli amava le persone e da innamorato le raccontava. La curiosità con cui parlava dei trans, dei militari ingabbiati, degli omosessuali, era un sentimento intriso di fraternità. Nella sua scrittura non c’erano teorizzazioni: c’erano le storie di chi incontrava. Questo aveva a cuore: riportare i lettori al romanzo, snobbato dalla generazione di autori che aveva preceduto la sua, e farlo offrendo la realtà. A questo lo portava, insieme a una precisa volontà programmatica e poetica, la sua disposizione naturale all’altro.Il suo compagno di scuola Fulvio dice che «aveva gli occhi che gli brillavano tutte le volte che parlava con qualcuno». Stefano Pistolini, il regista del documentario Ciao, Libertini! che andrà in onda da questa sera su SkyArte, dice alla Stampa: «Pier era in circolo, come si era in circolo in quel momento, senza web o cellulari: sapevi che c’era, che vedeva, che registrava, ma potevi solo leggere ciò che scriveva, di cose già successe, e perciò dopo. Allora lo andai a cercare per farlo partecipare a un quotidiano di RadioRai che parlava di culture giovanili, e chiedergli di interpretare “Tondelli, il grande cercatore”. E lui lo fece con la disponibilità, la semplicità e l’entusiasmo che ormai sono vulgata, quando si parla del suo carattere. In realtà però fu tutta una storia di collegamenti all’ultimo minuto, di corrispondenze su telefoni a gettone, da Berlino o da chissà dove, il giorno dopo che aveva assistito a uno spettacolo rivoluzionario». Tondelli assisteva: è il verbo esatto. Il fatto che abbia raccontato l’underground e gli ultimi, i tossici, i divorati, gli increati, però, ha contributo a lungo a far credere che fosse uno di loro: un’idea sulla quale la morte per Aids pose il sigillo definitivo. Invece, Tondelli era un borghese timido, composto. Oscar del Bianco, proprietario del Block60, a Riccione, racconta che comprava sempre pantaloni di velluto, parlava poco, sorrideva moltissimo. Paolo Landi, l’amico che lo portò a Firenze, racconta che «quando andavamo in discoteca e gli chiedevano di ballare, rispondeva: io ballo solo all’estero». Landi gli regalò un cellulare quando era in ospedale. In quei giorni, capì di non avere scampo, ma seppe di una fonte miracolosa e chiese a Landi di accompagnarlo per provare a guarir: a metà strada cambiò idea o, se volete, tornò in sé. Era il Tondelli sulla cui presunta conversione ha sprecato molto inchiostro chi ha voluto accaparrarselo. Era il Pier di sempre, quello che in uno dei Biglietti agli Amici, scrisse: «Ciò che è duro e forte è servo della morte; ciò che è tenero e debole è servo della vita». —