la Repubblica, 15 dicembre 2021
I giorni di Virginia Woolf
Difficile sintetizzare Un anno con Virginia Woolf, la raccolta di testi che l’anglista Nadia Fusini, studiosa, biografa e traduttrice di Virginia, ha curato per Neri Pozza, tornando a concentrarsi sulla sua autrice preferita. Arduo trasmettere l’intelligenza e la passione che nutrono la sua indagine sulla scrittrice che ha scelto di approfondire incessantemente. Applicandosi da molti anni al mondo di Virginia, Fusini lo ha esplorato da diverse angolature, rivelando sempre un patrimonio ricco di spunti. Di volta in volta, trattando l’incandescente prosa woolfiana, sa dove mettere le mani con cura chirurgica. Tanto che il suo percorso di ricerca sembra in perenne crescita. Sicché il livello di questo nuovo libro è troppo alto per poterne dare conto in maniera appagante. Dunque, vi prego, leggetelo. O regalatelo a qualcuno cui volete bene. O entrambe le cose.Un anno con Virginia Woolf è un invito a svegliarsi ogni mattina per dodici mesi in compagnia delle parole della narratrice inglese, seguendo una piccola liturgia che ci guidi verso la scoperta delle riflessioni e invenzioni di una donna che ha conosciuto il bene e il male, e intorno ad essi ha meditato. È un viatico quotidiano che attinge la sua materia lucida e ardente da corripondenze, diari, lezioni e articoli firmati dall’illustre e fertile signora.Ciascuno degli estratti selezionati è connesso a una data di riferimento. Perciò, di fronte a noi, sfilano circa quattrocento pagine (365 giorni più qualcosa) che ci consoleranno da dispiaceri, ci diranno cos’è l’amore (non solo per una persona, ma per la lettura, la scrittura, la libertà, l’affrancamento dagli schemi…) e ci comunicheranno la misura aurea di Virginia nell’osservare la consistenza dei “momenti d’essere”. Grazie a una diabolica (o angelica) sensibilità – la stessa che causò in lei scompensi psichici e la condusse al suicidio – e attraverso un’entusiasmante perspicacia intellettuale, Woolf conquista un criterio di giudizio sull’esistenza che esercita restando “in bilico”. Ovvero senza uniformarsi, e anche soffrendo della propria assoluta o quasi insolente originalità. Però sfoggiando appieno le doti che fanno di lei non solo una geniale pensatrice riguardo all’etica e alla società, alla politica e al costume, ma anche un’artista in grado di approdare in zone di creatività situate là dove il raziocino e la cultura non arrivano.Sono tutte significative le parti di quest’almanacco, che propone emblematiche fettine di romanzi ( La signora Dalloway, Al Faro, Le onde ed altro), scova recensioni illuminanti, ritaglia cronache ambientali dipinte con acume e humour, ed offre alcune struggenti (ma pure spiritose) lettere d’amore inviate da Virginia all’adorata Vita Sackville- West. La forza dei princìpi maschile e femminile coabitanti nell’io – cioè uno dei flussi energetici che alimentano l’efficacia di Una stanza tutta per sé, il saggio che farà di Woolf un’icona femminista – si avvicenda a certi suoi gustosi ingrandimenti delle abitudini relazionali, e dei bigottismi educativi, che serpeggiano nella società patriarcale nella quale è immersa.Una pura gioia animalista si manifesta in Flush, dove affiorano con chiarezza le sensazioni provate dal cane che dà il titolo a questo divertissement. È come se il ventaglio percettivo di Virginia si sciogliesse dentro la bestiolina, e sta in questo genere di miracolose identificazioni fusionali uno dei motori della sua potenza letteraria. Emergono le buffe impertinenze che caratterizzano il periodo più “sessuato” e scabroso del Bloomsbury Group, da lei assiduamente frequentato, e sono magici e analitici i commenti su Dostoevskij e Tolstoj, Thomas Hardy e l’invidiata (ma anche venerata e rimpianta) Katherine Mansfield. A volte Woolf, rileggendo i propri lavori, li rifiuta mettendo drasticamente in discussione sé stessa, secondo quella che Fusini definisce «la sindrome di Frankestein». Altrove decanta la melodia in prosa di Cechov e i suoi ineffabili finali sospesi e irrisolti. Attacca i critici letterari capaci solo di rigettare i giovani scrittori per celebrare alacremente i morti. Dichiara e argomenta il suo odio per la guerra e nel frattempo esalta il nucleo «allarmante e inaspettato» che possiede la vita per gli individui di ogni fascia d’età. Confessa l’intensità dell’estro immaginativo che nutre la sua mente spiegando di essere colma di un’agitazione che sembra uno spettacolo, e a tale ansia dà il compito di edificare la propria inesauribile felicità di scrittrice. Questo libro è un inno al piacere del narrare, è una raffica di domande sulla feroce transitorietà del vivere ed è uno sguardo che non smarrisce mai il suo asse di consapevolezza. Virginia ce lo consegna come un dono sempre attualissimo per sostenerci nell’andare avanti, e nel tentare di capire chi siamo.