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 2021  dicembre 15 Mercoledì calendario

Proibire la bassa qualità del cibo

Come è possibile mangiare pesce crudo a volontà a 15 euro? Basta fare un giro al mercato per capire che quelle cifre sono sballate. Se una sogliola di piccola taglia arriva a costare 12 euro e un’orata di allevamento sui 10, è difficile pensare che con la stessa cifra si possa consumare un intero menù, senza freni. Una riflessione che viene spontanea all’indomani della tragedia che ha colpito Napoli, dove un ragazzo di 15 anni ha perso la vita: il 23 novembre aveva mangiato sushi con le amiche in un ristorante che offre all you can eat. Formula che prevede un prezzo fisso (basso, fra i 10,90 e i 24,90 euro) con cui si può mangiare senza limiti. Dopo il malore e il ricovero, il 2 dicembre l’adolescente non ce l’ha fatta. Anche una ragazza che era con lui si è sentita male e dai controlli medici è emersa la presenza del batterio della salmonella. Sarà la magistratura a fare chiarezza su quanto accaduto. Ma una cosa è certa: questa tragedia mette sotto la lente il fenomeno del pesce crudo venduto a prezzi stracciati nei ristoranti. Il problema gira intorno alla qualità della materia prima, ai controlli che vengono (o non) fatti nei locali e anche alla logica del «discount» portata all’estremo che può avere effetti nefasti. Il cibo ha un valore non derogabile. E la salute va tutelata.Prima di tutto un dato su cui meditare, che scaturisce da alcuni studi della Federazione italiana pubblici esercizi. Un ristorante su dieci nel nostro Paese offre nel menù il sushi, una moda che negli ultimi anni ha investito ristoranti, ma anche bar, supermercati e street food. Secondo un’analisi del 2018, su un totale di circa 330mila ristoranti di cui 5919 etnici, solo 640 sono a titolarità giapponese mentre 4515 sono quelli gestiti dai cinesi. Un dato che conferma quanto ampia sia la moda-sushi. Ma a questo boom non sempre corrisponde qualità, soprattutto se la formula economica proposta appare molto bassa rispetto all’offerta. Emerge dai controlli del Nas, basta citare recenti irregolarità riscontrate in ristoranti di sushi a Torino, Reggio Calabria e in Umbria. I problemi spesso arrivano quando si approfondiscono qualità, provenienza e come viene trattato il pesce. «Non mangiare pesce crudo se non si sa la provenienza e se non si è certi al 100% di come è stato trattato, altrimenti è meglio orientarsi sul cotto – è l’imperativo del professor Giorgio Calabrese, presidente del Comitato nazionale della sicurezza alimentare –. Il pesce crudo va abbattuto sempre a –20 gradi centigradi per 24 ore. L’abbattitore è una macchina in grado di abbassare la temperatura da 37 a 3 gradi in 90 minuti, agisce così sulle larve dei parassiti e le blocca. A quel punto il pesce è sano. Ma non tutti i locali ce l’hanno. Il consiglio quindi è non rischiare, anche perché un menù a 16 euro non è sostenibile, al di là che il pesce sia cotto o crudo. Quei prezzi non sono praticabili».Una battaglia sulla provenienza del prodotto è quella condotta da Coldiretti: «Purtroppo il pesce è uno dei prodotti che, quando è importato, solleva più problematiche, soprattutto se viene venduto a un prezzo troppo basso. È tra i 10 alimenti che risultano più nocivi, secondo un nostro studio. Il rischio è di trovarsi di fronte a frodi o a cibo di scarsa qualità che può nuocere alla salute. Sono anni che ci battiamo affinché sia indicato in etichetta il giorno in cui è stato pescato».Ma c’è anche un altro aspetto su cui riflettere, a più ampio raggio, quello dell’eccesso che col suo lato seduttivo coinvolge soprattutto le giovani generazioni. Shottini a un euro, pesce crudo a volontà a 10 euro, consumi senza limiti e a volte senza una sana consapevolezza. Ma attenzione a non colpevolizzare i ragazzi. «Non sono gli adolescenti che tendono all’eccesso – riflette Paolo Crepet, psichiatra ed educatore –. C’e chi lo permette. Se c’è un ristoratore che per 15 euro ti dà un chilo di pesce, allora il problema va proposto all’intera società. E lo stesso vale per l’alcol. Non domandiamoci come mai un minorenne possa bere o mangiare chissà quanta roba, lo avremmo fatto tutti perché a quella età le regole sono meno attraenti dell’eccesso. È giusto chiedersi come mai un ragazzo non senta il limite, ma prima va indagato il perché ci sia gente che vende quella roba. E lo Stato ha le sue responsabilità. Qualsiasi cosa a 5 euro non è sostenibile, a parte forse un hamburger, ma gli alimenti di bassa qualità a prezzi bassi devono essere proibiti». —