La Stampa, 15 dicembre 2021
Intervista a Giuseppe Guzzetti
«Mi piacerebbe un capo dello Stato donna. Però mi sembra che alcune ipotesi non tengano conto che la grave crisi della nostra democrazia esige un presidente come è stato Sergio Mattarella: rispettoso delle istituzioni ma anche in grado di gestire i rapporti con i partiti. Certo, la donna giusta non può neanche essere una che ha quasi 90 anni come me. Comunque qualcuna, in giro, ritengo che ci sia». L’avvocato Giuseppe Guzzetti, per 22 anni presidente della Fondazione Cariplo, senatore democristiano a cavallo fra Prima e Seconda Repubblica e negli anni ’80 presidente della Lombardia, accetta di fare due chiacchiere sul prossimo inquilino del Quirinale. Ambrosiano più che milanese (vive ancora in provincia di Como, dove è nato nel 1934), da qualche mese si è iscritto al Pd. «Sono preoccupato per i miei nipoti. Il ritorno del fascismo è un rischio reale in questo Paese. Almirante a Salò firmò “l’ordinanza della morte”, che prevedeva la possibilità di mandare in Germania i giovani renitenti alla leva e di impiccare sul posto i partigiani catturati dalle brigate nere: oggi molti vogliono dedicargli strade e piazze, facendolo passare per un distinto signore in doppiopetto». Il suo studio affacciato sul Monte Resegone è foderato di libri: testi del Cardinal Martini, saggi storici, romanzi di Paolo Cognetti, strenne degli istituti di credito.
Da senatore ha partecipato all’elezione di Scalfaro al Colle. Che cosa ricorda?
«Si era creata una situazione di stallo e il nome più accreditato anche fra i vertici della Dc era Spadolini. Feci un intervento ai gruppi congiunti di Camera e Senato per segnalare a De Mita che i senatori democristiani Spadolini non l’avrebbero mai votato: aveva perso la nostra stima chiedendo i voti missini al ballottaggio per la presidenza del Senato. Dissi anche che la candidatura di Scalfaro avrebbe invece riscosso un grande successo e ricevetti molti applausi. Scalfaro aveva un grandissimo rispetto del Parlamento, tanto che anche Pannella fu uno dei suoi sponsor. Ciriaco puntò su Scalfaro e fu una scelta azzeccata: dal Quirinale, all’epoca del primo governo Berlusconi, si oppose alla nomina di Previti come Guardasigilli. Poi scoprimmo la storia del lodo Mondadori…».
A proposito di Berlusconi, sembra che stia facendo più di un pensierino sul Quirinale…
«Su Berlusconi non intendo pronunciarmi».
Guzzetti, lei conosce bene il Presidente Mattarella. Il suo no a un secondo mandato è definitivo?
«Mattarella non si ricandiderà neanche se provassero a costringerlo con la forza. E non lo farà per due motivi: il rispetto della nostra Costituzione, che per lui è sacro, e il contesto politico. C’è chi ha già detto che non lo voterebbe e lui non accetterebbe mai di essere un presidente divisivo».
Enrico Letta non rischia di fare la fine di Bersani?
«Letta è tornato a occuparsi di politica con generosità, arrivando in un partito dove dominano capi e correnti. L’ha messo su pozioni progressiste, europeiste, e ha dimostrato attenzione verso la povertà dilagante e sensibilità per i corpi intermedi come i comuni e il terzo settore. L’iniziativa delle agorà è un’inversione drastica del rapporto fra base del partito e vertici. A Letta suggerirei solo una cosa…».
Quale?
«Deve spazzare via questa legge elettorale con le liste bloccate: è una delle cause della grande disaffezione verso la politica. Un altro errore dello sfasciacarrozze…».
Sta parlando di Renzi? Il senatore di Rignano sembra molto sul pezzo nella partita del Quirinale…
«Cos’altro può fare uno con il 2%? È la vecchia storia di Ghino di Tacco. Di sicuro potrà contare su molti dei parlamentari che ha nominato, e non parlo solo di quelli che sono passati a Italia Viva. Ha la vocazione dell’interdittore e come sempre vuol dimostrare che senza di lui non si va da nessuna parte. A mio avviso è una prospettiva sbagliata».
Il centro della politica italiana è molto affollato. Da democristiano che idea si è fatto?
«Se questo nuovo centro riuscisse a ridurre il peso dei due movimenti sovranisti e populisti sarebbe positivo. Cosa sarebbe dell’Italia se nel pieno del Pnrr finisse per essere rappresentata in Europa da qualcuno che sostiene il ritorno della lira?».
Anche lei filo-giorgettiano?
«Da anni conosco Giorgetti e lo apprezzo. Se la Lega si candida a governare il Paese deve risolvere il problema dei suoi rapporti con la Ue. Correre a Budapest da Orbán non credo sia un’alternativa».
Cosa pensa dell’ipotesi Draghi al Colle?
«Penso che Draghi debba restare a Palazzo Chigi fino al 2023. Poi deve mantenere comunque un ruolo di primo piano. Cerchiamo di essere realisti: già oggi i partiti non accettano più le mediazioni del premier come qualche mese fa. Con Draghi al Quirinale si andrebbe al voto. A quel punto le 50 riforme in cantiere e la partita del Pnrr sarebbero perse. E poi Draghi è il nostro unico garante con Bruxelles: se lascia palazzo Chigi viene giù tutto». —