Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  dicembre 15 Mercoledì calendario

Chi spara ancora su Mani Pulite

A trent’anni di distanza da Mani Pulite è in atto, da parte della fairy band berlusconiana ma non solo (“abbasso il manipulitismo”, Luciano Violante) la campagna per la “liquidazione finale” di quell’esperienza, stravolgendone anzi capovolgendone la storia.
Mani Pulite viene da lontano. Viene dal collasso dell’Unione Sovietica del 1989. Essendosi di fatto spenta la minaccia dell’“Orso russo” si liberò il voto di molti cittadini che avevano appoggiato la Prima Repubblica e la sua corruzione col fegato in mano (il “turatevi il naso” di Indro Montanelli). Questi voti democristiani, ma anche non democristiani, finirono per convergere su un movimento nuovo, anti-partitocratico, la prima Lega di Umberto Bossi. La comparsa di una vera opposizione, dopo che da trent’anni il Pci si era associato al potere, liberò le mani dei magistrati di Milano dove la corruzione, partitica e imprenditoriale, estesa per tutto lo Stivale era più presente e più pesante. Se in clima consociativo un magistrato osava indagare su qualche “colletto bianco” veniva trasferito lontano dal suo distretto di competenza in modo da renderlo innocuo.
Mani Pulite ebbe un vastissimo sostegno popolare: per la prima volta dopo decenni, a parte casi eccezionali, la classe dirigente, politica ed economica, era chiamata a rispondere alle leggi che tutti noi dovevamo osservare. Non fu una “rivoluzione” come si dirà in seguito per dare un significato eversivo alla legittima azione dei magistrati. Fu piuttosto un atto di conservazione, di rispetto di quel minimo di legalità che una comunità deve avere per poter tenersi insieme.
All’inizio anche i grandi giornali, che avevano la coda di paglia per avere appoggiato, o comunque non denunciato, la corruzione della Prima Repubblica, si schierarono dalla parte dei magistrati. Esemplare è un editoriale di Paolo Mieli allora direttore del Corriere intitolato: “Dieci domande a Tonino”. Tonino, come se ci avesse mangiato insieme a Montenero di Bisaccia.
Le resistenze al ripristino della legalità portato dalle inchieste di Mani Pulite cominciarono appena il clima si fece un po’ meno incandescente. È del 1994 – primo governo Berlusconi, ministro della Giustizia Alfredo Biondi – il cosiddetto “decreto salva-ladri” che impediva la carcerazione preventiva sostituendola con i “domiciliari” per i reati tipici di “lorsignori”: corruzione, peculato, concussione, abuso d’ufficio, finanziamento illecito, falso in bilancio, frode fiscale.
Premesso che della carcerazione preventiva, quando riguardava la cosiddetta gente comune, non si era mai interessato nessuno, tantomeno le cosiddette destre (solo dopo Mani Pulite diventate improvvisamente “garantiste”), che anzi intonavano la canzone “in galera subito e buttare via le chiavi”. Per Pietro Valpreda, in galera da quattro anni senza processo e Giuliano Naria che fece nove anni di carcerazione preventiva, entrambi risultati innocenti, non si levò da quelle sponde un solo laio. Sono solo due esempi. Quando in gattabuia cominciarono a finire i colletti bianchi si invocò Amnesty International, perché, si disse, i magistrati li incarceravano per farli confessare, in pratica li torturavano. Replicò Francesco Saverio Borrelli: “Non è così. Noi li arrestiamo e loro confessano”.
Un’altra canzone intonata soprattutto da Berlusconi era che le inchieste danneggiavano l’immagine del nostro Paese all’estero. Falso. In quel periodo l’intera stampa internazionale ammirava, meravigliandosene, l’Italia perché stava riuscendo a ripristinare la legalità (la legalità, non la moralità che è altra cosa) in un Paese che aveva la trista, ma giustificata, fama di essere particolarmente corrotto e Ilda Boccassini, componente del Pool di Mani Pulite fu inserita tra le cento personalità più rilevanti del mondo occidentale. Altra canzone cantata soprattutto da Berlusconi, ma non solo, era che Mani Pulite danneggiava l’economia del nostro Paese. Falso anche questo. Tangentopoli ci è costata, secondo le indagini al ribasso di Giuliano Cazzola, 630 miliardi, cioè un quarto dell’attuale debito pubblico. Si inventarono poi di sana pianta categorie giuridiche mai prese in considerazione da alcun Codice Penale, come l’“accanimento giudiziario” e la “modica quantità” per i falsi in bilancio.
Non sapendo a che altro aggrapparsi i ladri di regime invocarono la pacificazione nazionale. Cioè il cittadino che si era comportato onestamente, che non aveva evaso le tasse o rubato sottobanco, che insomma aveva rispettato la legge, doveva “pacificarsi” con quelli che la legge l’avevano violata. Si arrivò anche a teorizzare, da parte dell’onorevole Tremonti, che “i comportamenti previsti dalla legge come reati cessano di esserlo se la coscienza morale dominante non li considera tali”. Ma su questa strada ci si è spinti anche oltre: la punibilità o meno di un cittadino dipenderebbe dal consenso che ha o non ha presso l’opinione pubblica (Angelo Panebianco). I reati non sono più tali a seconda della tipologia dei fatti, ma dei loro autori.
Ma la truffa linguistica e logica che faceva, per così dire, da suggello a tutte le altre, e le completava, era la famosa formula “bisogna uscire da Tangentopoli” (con un’amnistia, con un indulto, con un atto di clemenza). Forse che, amnistiando gli stupratori, usciamo da Stupropoli? I mafiosi da Mafiopoli? I ladri da Ladropoli? In realtà così si incoraggiano solo gli stupratori, i ladri, i mafiosi a continuare a fare quel che fanno. In questo caso i corruttori e i concussori.
Ma questo è il passato. Oggi, persa ormai ogni verecondia, si rifà la storia di Mani Pulite al contrario. Si sostiene che Mani Pulite fu un “colpo di Stato bianco” ispirato dagli americani (perché mai gli americani avrebbero dovuto togliere di mezzo i partiti filo yankee e salvare il Partito comunista, non è facilmente comprensibile). Per Vittorio Macioce de Il Giornale Mani Pulite non fu che “una rivoluzione politica fallita, che si è arenata all’improvviso davanti alla vittoria di Berlusconi nel ’94”. Per il molto commendevole prof. Panebianco, ma non solo per lui, esiste un “partito delle Procure” naturalmente di sinistra. Non si è accorto il prof. che la sinistra in Italia non esiste più da tempo (“D’Alema di’ qualcosa di sinistra, di’ qualcosa”, Nanni Moretti ). Dice ancora il prof. (editoriale sul Corriere dell’8.6.2021) rimpiangendo il tempo in cui “la si chiamasse Repubblica dei partiti oppure partitocrazia, la politica comandava e i magistrati erano dominati e controllati”. Cioè il liberale Panebianco si mette tranquillamente sotto i piedi la tradizionale separazione dei poteri (Montesquieu), Esecutivo, Legislativo, Giudiziario e sogna un Paese dove il potere giudiziario è sottoposto al governo. Ma questo è esattamente ciò che avviene nelle dittature.
Ora, bisogna intendersi. La Magistratura è il massimo organo di garanzia di un Paese. Può sbagliare naturalmente, anche se il nostro ordinamento prevede, più di ogni altro, una serie di controlli, gip, primo grado, Appello, Cassazione, possibilità di revisione del processo. Però alla Magistratura ci si crede o non ci si crede. Se non ci si crede allora bisogna essere conseguenti e aprire tutte le carceri, perché chiunque può essere stato vittima della corruzione della Magistratura.
Concludiamo questo articolo, dedicato non solo alla “liquidazione finale” di Mani Pulite ma dell’intera Magistratura, con un articolo di Goffredo Buccini (Corriere, 20.11.2021): “Un personaggio pubblico in grado di migliorare di molto il clima sarebbe ancora in campo”. Indovinate chi è?