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 2021  dicembre 14 Martedì calendario

Intervista a Carlo Rovelli

C’è una strada che porta alcuni scienziati a ingaggiare battaglie civili, a impegnarsi in prima persona nella difesa dei diritti umani. Carlo Rovelli, fisico teorico diventato una star grazie a bestseller come Sette brevi lezioni di fisica, L’ordine del tempo o il recente Helgoland (tutti Adelphi) lancia oggi insieme a cinquanta premi Nobel, e diversi presidenti di Accademie nazionali delle Scienze, un appello indirizzato a tutti i governi del mondo. “È una proposta molto concreta”, dice subito rispondendo a Repubblica via Zoom dalla sua casa nel sud della Francia, dove da venti anni insegna fisica teorica all’università di Aix-Marseille. La posta in gioco è il nostro futuro: “Chiediamo di negoziare una riduzione equilibrata della spesa militare globale da reinvestire per affrontare i problemi gravi dei nostri tempi: riscaldamento climatico, epidemie e povertà”. Nella lista dei firmatari compaiono anche i Nobel Giorgio Parisi e Olga Tokarczuk. E ci sono gli italiani Annibale Mottana (presidente Accademia Nazionale delle Scienze dei XL) e Roberto Antonelli (presidente Accademia dei Lincei). Si può leggere e firmare l’appello sul sito https://peace-dividend.org.https://peace-dividend.org.
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Carlo Rovelli, fisico teorico
Professore può spiegare meglio di che cosa si tratta?
"Alla base c’è un’idea semplice: l’umanità ha problemi comuni gravi, per affrontarli servono risorse, che sono difficili da trovare. Ma c’è un modo per reperirle: collaborare e negoziare una diminuzione comune delle spese militari, raddoppiate dal 2000 a oggi ovunque. Anche una piccola riduzione del 2% all’anno per cinque anni libererebbe un “dividendo di pace” enorme: mille miliardi di dollari da qui al 2030, una cifra molto superiore a quella che viene oggi destinata alla collaborazione internazionale. Sono rimasto sorpreso dall’adesione entusiasta di tanti Nobel, tra cui anche il Dalai Lama. E non le nascondo che mi piacerebbe il supporto di papa Francesco”.

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Esiste un terreno comune in nome di un’etica umanitaria?
"Sono ateo in maniera determinata ma condivido molti valori e urgenze con il mondo cattolico. L’impegno per la pace e per l’ambiente di papa Francesco è noto e spero che il pontefice possa apprezzare questa nostra iniziativa”.
Non teme che il progetto possa apparire troppo idealista?
"Secondo recenti dati Oxfam, nel mondo ogni minuto undici persone rischiano di morire di fame. Servono risorse enormi per affrontare questo e altri problemi. Ma come hanno mostrato le ultime conferenze sul clima non è facile mettere d’accordo i paesi ricchi e quelli più poveri. Con questo appello proviamo a rispondere in maniera non velleitaria o retorica. Chiediamo ai governi del mondo di sedersi attorno a un tavolo e negoziare in modo duro”.
Si può provare a cambiare la società partendo dalla scienza?
"La scienza è uno strumento efficace ma anche duttile. Possiamo usarla per ammazzare gli altri, come mostrano i colossali investimenti per la ricerca militare. Oppure per produrre vaccini che ci proteggono dalle malattie o per capire cosa stia succedendo al clima o per razionalizzare la distribuzione di cibo nel pianeta. In linea generale offre strumenti all’umanità. Ma per cambiare il mondo in una direzione più giusta quello che serve non è la scienza: è la politica”.
Anni fa Michel Serres proponeva un patto tra scienziati e politici per la cura della terra. Le sembra una via praticabile?
"È un terreno pericoloso. La politica deve incaricarsi della mediazione tra interessi e sistemi di valori diversi e per fare questo può ascoltare la scienza ma non può delegare agli scienziati le decisioni, né deresponsabilizzarsi. La diffidenza verso la scienza nasce da questa confusione, dal fatto che la scienza sta troppo dalla parte del potere in una società in cui le diseguaglianze crescono e molti si sentono tagliati fuori dalle danze. Il risultato è una perdita di credibilità”.
Quanto ha pesato questa diffidenza durante il Covid?
"Agli scienziati è stato rimproverato di contraddirsi, senza capire che la scienza è un processo di conoscenza, in continua evoluzione. Gli scienziati non sono l’oracolo di Delfi”.
A proposito di scienza e società. Esiste una tradizione di scienziati attivisti che mostra come lo sviluppo scientifico sia compatibile con la difesa dei diritti umani.
"Il famoso manifesto di Bertrand Russell e Albert Einstein presentato a Londra nel 1955 per denunciare i rischi delle armi atomiche, e che portò alla Conferenza di Pugwash premiata poi con il Nobel, forse ha salvato l’umanità dal disastro nucleare. Quel documento è il germe che ha portato ai trattati tra Stati Uniti e Unione Sovietica, che a partire dagli anni Ottanta hanno ridotto i loro arsenali nucleari del 90%”.
Come spiega l’impegno sociale di tanti uomini di scienza?
"In parte c’è in ballo quello che una volta si chiamava il ruolo dell’intellettuale. Chi fa scienza è consapevole di occupare una posizione di privilegio e quindi si sente investito di una responsabilità. Se un poliziotto assiste a un’aggressione mentre è fuori servizio, interviene. A noi scienziati succede la stessa cosa. Impegnarsi in cause umane e civili diventa una maniera per vivere responsabilmente il proprio ruolo. Oltre a Einstein pensiamo a Sacharov o oggi a Noam Chomsky”.
Oppure ai giovani della Silicon Valley da cui è partita la rivoluzione informatica. Anni fa un libro di David Kaiser, “Come gli hippie hanno salvato la fisica”, li raccontava. Gli scienziati sanno intercettare meglio lo spirito del tempo?
"La scienza non è una torre d’avorio isolata dal resto del pensiero. È in costante scambio di idee con tutto quanto avviene intorno. E non c’è dubbio che la cultura hippie di quegli anni viveva immersa in un contesto di cambiamento. Quel libro lo ricostruisce. È stato un momento importante per la fisica perché ha riaperto la discussione sui fondamenti della meccanica quantistica, che si era spenta dopo gli anni Trenta. Un periodo vivacissimo che ha avuto effetti clamorosi sulla società. Steve Jobs e la Apple vengono da lì”.
Una controcultura dalla quale viene anche lei, studente a Bologna negli anni Settanta. È vero che fu arrestato per aver rifiutato il servizio di leva?
"Sì, allora era ancora obbligatorio. Successe durante una manifestazione per la pace”.
Gli ideali sono dunque rimasti gli stessi della giovinezza?
"I valori sono sempre quelli”.
 
E lo studio della fisica quantistica che ruolo ha avuto?
"Beh, studiare la fisica quantistica è uno straordinario antidoto contro ogni realismo troppo ingenuo. La realtà è complessa, noi ne siamo parte. Noi stessi, la nostra conoscenza, le nostre idee, la nostra ragionevolezza, e anche il nostro senso morale e il nostro impegno politico, siamo maglie di une rete più vasta. Per questo è più ragionevole collaborare che combattere”.
Cosa saremmo noi umani senza un tessuto di relazioni?
"Saremmo sassolini. Salvo poi scoprire, grazie alla quantistica, che anche quei sassolini non ci sarebbero senza relazioni”.