La Stampa, 14 dicembre 2021
Diabolik sul grande schermo
Luca Valtorta«Io non credo che un uomo possa arrivare a tanto… sarebbe l’incarnazione del demonio», dice la marchesa Eleonora De Semily. «Infatti lo chiamano Diabolik» risponde uno degli ospiti della sua magnifica villa, il nipote Gustavo: è il primo novembre del 1962 quando Il re del terrore, così si intitolava quell’albo, fa la sua prima apparizione nelle edicole italiane. I disegni sono talmente orribili da risultare in qualche modo inquietanti (verrà comunque ridisegnato da Luigi Marchesi nel 1964 in occasione della ristampa). Il protagonista, infine, è… un assassino! Non si era mai visto niente del genere in Italia. Non è finita: a scrivere le sceneggiature, fatto assai inusuale in quegli anni, sono due donne della buona borghesia milanese, le sorelle Angela e Luciana Giussani.Tutto comincia qui e farà scuola: quel piccolo formato che diventerà un marchio di fabbrica imitato dai molti epigoni, il costume spaventoso e, soprattutto, il nome con quella “k” che da subito denuncia una quota di “kattiveria” in più. Narra leggenda che l’idea fu di Angela contro il marito, l’editore Gino Sansoni che preferiva un “Diabolique” alla francese (forse veniva da Fantômas, uno degli ispiratori del personaggio) e lo scrittore Pier Carpi che invece avrebbe voluto un più classicheggiante “Diabolicus”. Pura leggenda è anche quella che avvolge il disegnatore di quel famoso primo numero: sembra che si chiamasse Angelo Zarcone ma nessuno lo conosceva davvero, incassò il compenso in contanti e poi sparì per sempre sfuggendo ai tentativo di rintracciarlo.Il primo numero fu subito un... insuccesso: delle 20mila copie di tiratura se ne vendettero solo 8mila ma una volta cambiato distributore nel giro di un anno esploderà, dando vita al fenomeno del famoso “fumetto nero italiano”. Con la “k” appunto: come Kriminal e Satanik che potevano vantare un disegnatore di prima grandezza, Roberto Raviola in arte Magnus. E poi: Sadik, Zakimort, Demoniak, Killing (che però era un fotoromanzo). Presi in giro dal Cattivik di Bonvi. Di fronte a questo enorme exploit il sublime artigianato del cinema di genere made in Italy, tanto amato da Tarantino e non solo, non sta a guardare: il primo ad arrivare sullo schermo nel 1966 è Kriminal, tratto dall’omonimo fumetto di Max Bunker (Luciano Secchi), girato da Umberto Lenzi, che ebbe anche un seguito l’anno successivo considerato migliore ( Il marchio di Kriminal, regia di Fernando Cerchio): stranamente qui non si spinge molto su sesso e violenza e Kriminal invece che un efferato assassino è un ladro gentiluomo. Sempre tratto da un fumetto di Max Bunker, nel ’68 arriva al cinema anche il Satanik di Piero Vivarelli: “Perché Satanik vuol dire morte, denaro, sesso? Qual è il suo segreto?” recita il trailer. La possibilità, con un siero, di diventare, da sfigurata, bellissima: la cosa più interessante in questo caso è il personaggio femminile al centro anche se nel film si perdono i risvolti psicologici del fumetto. Anche qui molto jazz, forti dosi di violenza e buon successo al botteghino benché il film venga decisamente bocciato dal creatore del personaggio, Max Bunker.Infine, sempre nel ‘68 Mario Bava, grazie al budget più alto della sua carriera (200 milioni di lire) realizza un vero gioiellino psychedelic-lounge con un cast di tutto rispetto, da John Philip Law nel ruolo di Diabolik alla splendida Marisa Mell in quello di Eva Kant, Michel Piccoli (l’ispettore Ginko) e Adolfo Celi (Valmont, capo dei criminali). Gli effetti speciali sono di Carlo Rambaldi, la colonna sonora di Ennio Morricone. Rapine, motoscafi, risata “diabolika”, girandola psichedelica sui titoli di testa che ricorda un po’ quelli di 007. Scene da culto: il (non) vestito di Eva, il rifugio segreto modernista con la doppia doccia dei protagonisti e il letto bianco girevole, il locale dove, tra effetti strobo, si spaccia droga con gli hippies che ballano e si passano lo spinello (come si diceva allora). Finale con un Morricone jazz-sperimentale stile Nuova Consonanza e un Diabolik tra Tetsuo eGuerre Stellari (non riveliamo altro). Da (ri)vedere assolutamente prima di andare al cinema per meglio gustare i Manetti.