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 2021  dicembre 13 Lunedì calendario

Il poliziotto che interruppe l’ultimo concerto dei Beatles

«Era solo lavoro, e ora ne sta venendo fuori un pandemonio. È assurdo, davvero non capisco». Dopo oltre cinquant’anni di anonimato, ormai in pensione nella campagna inglese, l’ex poliziotto londinese Ray Dagg si è ritrovato all’improvviso sui giornali di tutto il mondo, trasformato in un personaggio di culto da Get Back, apprezzatissimo documentario sui Beatles di Peter Jackson che segue le prove e la registrazione dell’ultimo album della band di Liverpool, Let It Be, pubblicato nel 1970.
Nella serie – otto ore di immagini divise in tre episodi, disponibili in streaming su Disney+ – Dagg appare solo pochi istanti, che bastano però a consegnargli un ruolo fondamentale nella storia della musica: fu lui, all’epoca appena 19enne, a interrompere l’ultima esibizione dal vivo dei Beatles, che il 30 gennaio 1969 stavano tenendo un concerto a sorpresa sul tetto degli studi di Apple Records, al 3 di Savile Road, la strada londinese dei sarti. L’agente Dagg persuase il road manager del gruppo Mal Evans con la minaccia di un arresto per disturbo della quiete pubblica: la stazione di polizia di West End, gli disse, aveva ricevuto 30 reclami in pochi minuti.
«Era solo un bluff. All’epoca però non sapevo che non avrebbero mai più suonato insieme», ammette oggi Dagg, 72 anni, parlando per la prima volta in un’intervista al Times di Londra. Quei 42 minuti sul tetto della casa discografica furono infatti gli ultimi in cui John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr si esibirono in pubblico tutti insieme: l’anno successivo il gruppo si sarebbe sciolto e i componenti avrebbero preso ognuno la propria strada da solista, ad eccezione di qualche sporadica collaborazione.
«Non è un male essere ricordato per questo, sono milioni le persone che vengono dimenticate. Almeno da qualche parte resterà un film che mostra l’agente Dagg mentre silenzia i Beatles», dice al quotidiano londinese il 72nne, che non ha rimpianti e ammette di non aver mai posseduto un album dei Fab Four: preferiva Simon & Garfunkel. Sei anni dopo essersi scontrato con la Storia per un istante, Dagg lascerà la polizia, dove era entrato seguendo le orme paterne, e lavorerà come venditore ed esportatore, prima di ritirarsi nelle campagne attorno a Warwick.
Nessuno avrebbe più sentito parlare di quel bobby londinese se non fosse stato per l’opera di Jackson, già vincitore di tre Oscar con Il Signore degli Anelli, che ha attinto a 60 ore di girato mai rese pubbliche di Michael Lindsay-Hogg, autore nel 1970 del documentario Let It Be. All’epoca la polizia di Londra concesse l’autorizzazione per diffondere il filmato e a Dagg fu offerto un compenso di 3 mila sterline per la comparsata involontaria, il doppio del suo stipendio annuale, che fu costretto a devolvere al fondo per le vedove e gli orfani degli agenti. A distanza di 52 anni, invece, quelle immagini hanno trasformato Dagg in «una stella improbabile della nuova Beatlemania», come ha scritto il Times, che per primo ha cercato di scoprire che fine avesse fatto il poliziotto.
Nel documentario si vede Dagg entrare nella casa discografica, ripreso da una telecamera nascosta dietro a uno specchio. «Dissi al mio collega Ray Shayler di fare attenzione, perché ci stavano filmando», ricorda. Ci volle mezz’ora per arrivare al tetto, dove la band stava ancora suonando: nel vedere gli agenti, McCartney si lasciò andare a un sorriso. La trattativa con il manager proseguì ancora un po’, fino alla minaccia di arresto per intralcio della strada, dove si erano radunati i fan, e degli agenti. Fu a quel punto che Evans staccò l’amplificatore della chitarra di Harrison, proprio durante Get Back: furono le ultime note dal vivo suonate dai Beatles.