la Repubblica, 13 dicembre 2021
Intervista a Edoardo De Angelis
Eduardo & Edoardo. Dopo Natale in casa Cupiello, realizzato lo scorso anno, il regista De Angelis completa la trilogia dedicata alle pièce di De Filippo con altri due film tv, Sabato, domenica e lunedì e Non ti pago, prodotti da Picomedia, in onda su Rai 1 il 14 e il 27, presentati in anteprima all’ultimo Torino Film Festival. «Abbiamo lavorato i testi di Eduardo come film. Negli ultimi anni ci siamo interrogati spesso sulle differenze semantiche tra i lavori fatti per la tv e quelli realizzati per il cinema, oggi semplicemente quelle differenze non esistono più.
Continuiamo a usare, per amore e nostalgia, la parola cinema anche per questi film per la tv, o per la serie a cui lavoro ( La vita segreta degli adulti, ndr) perché non c’è stacco o trauma. L’unico trauma è quello di vedere le sale chiuse, il dolore nostalgico per la perdita di un’occasione di visione assieme ad altre persone».
Quale era la sfida principale?
«A me fa tremare i polsi la sensazione di aver annientato una distanza, da testi scritti tanto tempo fa, nella descrizione di una tipologia di famiglia che è svanita, ma solo apparentemente, perché la crisi del patriarcato, della famiglia stessa, il desiderio di emancipazione sono ancora più palpabili oggi».
Cos’ha imparato dall’esperienza di “Natale in casa Cupiello” di cui ha fatto tesoro per questi due film?
«Intanto ho capito che le meravigliose parole di De Filippo mi stavano facendo molto bene come essere umano. Da autore mi ha aiutato a esplorare una dimensione del racconto nuova, a togliermi dal fiume e a esplorare il ventre borghese della città. A lavorare sulle sfumature di situazioni e linguaggio.
Sergio è un attore autore, interpretando scrive. Sul set ci siamo mossi nell’equilibrio precario tra pudore nei confronti del testo e spregiudicatezza. Nel corso della trilogia il pudore ha lasciato molto spazio alla spregiudicatezza».
Come verrà accolta questa spregiudicatezza?
«Come viene sempre presa la libertà: qualcuno si innamorerà e altri la detesteranno».
Dalle parole di Eduardo a quelle di Elena Ferrante e “La vita bugiarda degli adulti”, che gira a Napoli.
«Anche il lavoro sulle parole di Ferrante rientra appieno in questo percorso. E non c’è grande distanza tra le due poetiche. I temi della famiglia, della menzogna, sono comuni. È un’altra tappa fondamentale di questo percorso che sto facendo».
Sul set ha chiamato per le coreografie di Valeria Golino la sua vecchia maestra di danza. Da bambino lei voleva fare il ballerino.
«Mia zia faceva la segretaria in una scuola di danza classica. I maschi non pagavano perché c’era penuria.
Quindi mi ritrovai a fare danza preparatoria. All’epoca il mio soprannome era “Edolardo”, ero una specie di panzerotto che si muoveva. Ero fan di Schwarzenegger, prendevo le mele e le mettevo sotto la felpa con lo scotch, andavo dagli amici a far vedere i bicipiti. Mi iscrissi a questa scuola di danza, ma non sapevo fare niente, inventavano dei passi per me. Sembravo il primo ballerino ma ero l’unico che non sapeva fare la ruota. Questa cosa continua a divertirmi, resto un appassionato di danza».
Che ragazzino era?
«Sensibile, tenevo questa vocina piccola in un corpo gigante, disegnavo molto, facevo i pastori con la plastilina. A due anni feci un intero presepe, avevo questa passione, costruivo un mondo. E infatti la prima opera che ho fatto di Eduardo è stata Natale in casa Cupiello, e se vedi Il vizio della speranza che cos’è se non un presepe? La mia prima visione del cinema è stata presepiale».
Cinque anni fa la sua carriera partiva da Castel Volturno. Il suo legame con Napoli?
«Ho sempre odiato la diaspora verso le Film commission. Se un film è ambientato a Napoli perché lo devo girare in Puglia? Ma noi lavoratori dello spettacolo abbiamo formato un movimento per una legge cinema in Campania, promulgata nel 2017, pochi mesi dopo l’entrata in vigore della legge Franceschini. Nel contempo determinati progetti hanno acceso anche i riflettori mondiali su Napoli, che oggi è la capitale dell’industria dell’audiovisivo. Per anni ci siamo nutriti dell’idea che il nostro fosse un mestiere per disperati, che si doveva fare per forza, anche pagando lo scotto della povertà. Ma c’è chi deve legittimamente poter mantenere la propria famiglia».
Il suo prossimo film, “Comandante”, racconterà di Salvatore Todaro che nel 1940 nell’Atlantico salva 24 naufraghi di una nave nemica mettendo a repentaglio il suo sommergibile.
Quando gli chiedono perché l’ha fatto risponde “siamo italiani”.
«Stiamo lavorando da tre anni, sarà una miscellanea di tecnologie mai usate al mondo. Un film grande, perché alla base c’è un pensiero grande, che è la forza: l’uomo più forte è quello capace di tendere la mano all’uomo che in quel momento è più debole».