la Repubblica, 13 dicembre 2021
Intervista a Roberto Soldatini, il direttore d’orchestra che suona il violoncello sul mare
TRANI – Roberto Soldatini ha deciso di cambiare ritmo alla propria vita. La passione per il violoncello e per la composizione l’hanno portato a diventare un ambizioso direttore d’orchestra. Ma quella vita in terraferma, così ripetitiva, non lo soddisfaceva. Dieci anni fa ha deciso di vendere la sua casa e acquistare una barca a vela, per trasformarla in una nuova opportunità e adattare il lavoro alle nuove esigenze.
Come è nata la decisione di vivere in barca?
«La carriera procedeva bene, ma a un certo punto mi sono accorto quanto fosse riduttivo percorrere la stessa rotta per tutta la vita e ho sentito l’esigenza di sperimentare nuovi orizzonti, di mettermi in discussione.
Mi sembrava di recitare sempre la stessa parte, un rischio facile soprattutto per chi segue la carriera artistica».
Cosa cercava?
«Ritornare a una vita legata all’essenziale. Vivere in barca dà questa opportunità perché sei costretto a ridurre le tue esigenze. E poi rappresenta un ritorno alla natura e un desiderio di libertà facilissimo da realizzare perché basta alzare le vele e cambiare porto. Così, dopo aver cercato informazioni su un sito inglese, lo stesso giorno davanti allo stesso notaio ho venduto la mia casa con una vista spettacolare su Roma, la mia città, e ho acquistato una barca Moody 44: Denecia, dove oggi vivo con i miei libri e un violoncello del ’700».
Perché il mare?
«Paradossalmente con la mia famiglia sono sempre andato in vacanza in montagna, mentre la passione per il mare è nata molto dopo. Tra loro c’è una differenza fondamentale: in montagna manca l’orizzonte infinito del mare che si sposta sempre più in là quando ti muovi. Più lo cerchi, e più si allarga. Lo scafo di una barca si pulisce in navigazione, mentre se sta fermo viene ricoperto di microrganismi»
Veniamo a noi, ossia a lei...
«Ma è la stessa cosa che succede alla nostra anima: più ti muovi e più la pulisci dalle incrostazioni. È un’esigenza comune a tutti ed è alla base della conoscenza, tanto che nelle società precedenti alla nostra erano tutti un po’ viandanti. Il mare è la scoperta del sé, è il mezzo migliore per riuscire ad arrivare a comprendere me stesso e quindi gli altri e la vita».
Lasciata la carriera concertistica com’è cambiato il suo lavoro?
«Facendo il direttore d’orchestra non avevo un attimo di tempo, invece da docente di conservatorio ho scoperto di averne molto di più. Mentre normalmente la scelta di un posto in cui vivere è dettata dal lavoro, adesso è esattamente il contrario: scelgo il posto in cui lavorare in base al porto in cui desidero vivere»
Ci può fare un esempio?
«Quest’anno ero il primo in graduatoria per i trasferimenti in conservatorio. E c’erano Napoli e Roma disponibili, due cattedre prestigiose. Ma la carriera non mi interessa più e tra le scelte c’era il Piccinni di Bari: è al Sud, c’è il sole, la gente è socievole e vicino c’è il porto di Trani, la perla dell’Adriatico, la cui lega navale mi ospita. Ho avuto la conferma che si tratta di un posto straordinario per vivere in barca: la città letteralmente abbra ccia il porto e la vita si sviluppa tutt’intorno».
La musica è influenzata dal mare?
«Credevo di dare un taglio netto alla musica, ma in realtà il mare ha dato una nuova linfa alla mia ispirazione e mi ha portato a scrivere quattro libri e un concerto. Questa lentezza del muoversi, tipica della navigazione, l’ho trasferita nella musica e rallentando l’esecuzione musicale di tante opere che conoscevo mi sono accorto di tutte le sfumature che il compositore ha voluto mettere in un pezzo. Oggi invece c’è la tendenza a correre, nella vita come nella musica. Ho riscoperto in una maniera nuova quello che ho studiato tutta la vita».
Si è mai pentito della sua scelta?
«L’unica cosa di cui mi pento è non averlo fatto prima».