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 2021  dicembre 13 Lunedì calendario

Reportage da Kharkiv


KHARKIV (UCRAINA) — Solo in pochi attraversano il confine, guardinghi e intimoriti, tutti infagottati in pesanti piumini o in cappotti di cuoio imbottiti di pelo. È gente che ha famiglia in Russia. Soltanto a loro è consentito il passaggio. Agli altri ucraini, la frontiera è chiusa. Hic sunt leones. Una guardia armata di kalashnikov ferma anche noi, ma oltre il dedalo di collinette spelacchiate che separa i due Paesi riusciamo a indovinare l’immensità della pianura russa, tagliata in due dalla E105. Se il presidente Vladimir Putin decidesse di invadere l’Ucraina è da questa strada che entrerebbero i suoi carri armati: una decina di giorni fa, foto satellitari del Pentagono hanno rivelato importanti movimenti di truppe, artiglieria e materiale tattico d’assalto nelle due basi di Boyevo, proprio a nord-est dalla frontiera. L’ammasso di uomini in altri due siti militari, a Persianovka, vicino al Donbass, e a Novoozernoye, in Crimea, ha spinto un funzionario dell’amministrazione Biden a sostenere che il capo del Cremlino è pronto a lanciare un’offensiva all’inizio del 2022, con il doppio delle forze rispetto alla scorsa primavera.Una volta oltrepassato il confine, in meno di mezz’ora le truppe russe potrebbero raggiungere le porte dell’elegante Kharkiv, che con due milioni di abitanti è la seconda città più popolosa d’Ucraina.«Ma sarebbe un massacro per entrambi gli schieramenti, perché ormai anche il nostro esercito dispone di armi sofisticate e conta 80mila soldati ben addestrati che opporrebbero una feroce resistenza all’invasore», ci dice Oleg Franko, che incontriamo a piazza della Libertà davanti alla tenda di Euromaidan, montata in ricordo della rivolta europeista che nel 2014 destituì il presidente filorusso, Victor Yanukovich. Quell’anno, in questa piazza nel centro di Kharkiv che fino ad allora era dedicata a Felix Dzerzhinsky, il fondatore della Cheka, la polizia segreta bolscevica, fu anche abbattuta una ciclopica statua di Lenin eretta nel 1927. «Il mondo intero lo sta minacciando di sanzioni pesantissime per convincerlo a non infrangere né la nostra sovranità né la nostra integrità territoriale ma Putin se ne infischia, perché per lui l’Ucraina non esiste. Continua a comportarsi come se non ci fossimo resi indipendenti dalla Russia già nel 1991. È un leader imprevedibile, che sa sempre fin dove può spingersi senza perdere il controllo della situazione. Perciò, valutando i rischi che corre e i vantaggi che guadagnerebbe dall’annessione del nostro Paese, credo che ci sia ancora il 40 per cento di possibilità che alla fine ci dichiari guerra».A duecento chilometri dal Donbass, e ad appena venticinque dal confine russo, gli abitanti di Kharkiv non sembrano preoccupati dall’eventualità di un conflitto con Mosca: i negozi di lusso sono carichi di addobbi natalizi, il teatro dell’Opera presenta per le feste un ricco cartellone di concerti e i giovani affollano le strade del centro dove, sebbene quest’anno la neve non sia ancora caduta, già spira il vento diaccio del nord. «Non siamo incoscienti ma piuttosto resilienti», spiega Oleksandr Yarmolenko, 28 anni, membro del Corpo Nazionale, quel partito nazionalista che il ministero dell’Interno adopera a volte per prevenire le derive separatiste in tutto il Paese. «A Kharkiv abbiamo prima sofferto per l’Holodomor, la carestia organizzata a tavolino da Stalin negli anni Trenta, poi la violenza più spietata durante i ventidue mesi dell’occupazione nazista, quando qui in città furono uccise trecentomila persone. Ma oggi siamo tutti pronti a fermare le truppe di Mosca, perfino i giovani che potrebbero sembrare così spensierati e così lontani da ogni impegno politico. Le assicuro che anche chi si professa convinto pacifista, in caso di un’invasione russa sarebbe pronto a imbracciare il fucile».Eppure Kharkiv è stata a lungo filorussa, al punto che la maggioranza della sua popolazione ancora preferisce parlare la lingua di Puskin. «Per noi la Russia è sempre stata una sorta di vacca grassa che ci ha arricchito. Fino al giorno in cui questa mucca è impazzita. Mi riferisco a quanto accaduto nel Donbass sette anni fa, quando Mosca addestrò e armò i ribelli separatisti consentendo loro di fondare le cosiddette repubbliche indipendenti di Donetsk e Luhansk. Con quella scelta, Putin ha innescato un conflitto che ha già provocato oltre 14mila morti», aggiunge Yarmolenko. Allora, anche a Kharkiv un gruppo di militanti filorussi armati di spranghe e coltelli occupò la sede del governo regionale, che dopo pochi giorni fu però liberato dai corpi speciali arrivati da Kiev. «Prima di quei fatti, più della metà degli abitanti di Kharkiv si considerava filorusso ma oggi per via dell’atteggiamento sempre più aggressivo di Mosca non lo è neanche il 10 per cento».Intanto, per prepararsi a un’eventuale offensiva militare, la cellula locale dei Corpi nazionali ha cominciato ad addestrare centinaia di giovani a combattere, mentre già da mesi chiede alle autorità della città di creare rifugi antiaerei dove proteggere la popolazione dagli eventuali bombardamenti russi. «Credo che al momento non ci sia un solo rifugio in tutta Kharkiv», ammette Pavlo Semenko, 35 anni, professore di Scienze politiche all’Università che ha sede in un gigantesco edificio in stile staliniano. «In questo momento, quello che temo maggiormente sono i provocatori filorussi, abituati a menar le mani, a creare confusione e a sabotare le infrastrutture più essenziali per poi far ricadere la colpa sui nazionalisti invocando a gran voce l’intervento di Mosca». Ma c’è altro che preoccupa il professor Semenko. Nelle ultime settimane, hanno ripreso a decollare i grossi cacciabombardieri russi, in grado di colpire, anche con testate nucleari, città o siti industriali. Lo stesso accadde nel 2014, poco prima della conquista della Crimea. «In passato, Putin ha stravinto ovunque, in Georgia, in Crimea e perfino in Libia e in Centrafrica, dove i suoi contractors la fanno da padroni. Temo che alla fine trionferà anche in Ucraina».