La Stampa, 13 dicembre 2021
Intervista a Federico Cafiero de Raho
Da quattro anni è superprocuratore Antimafia e Antiterrorismo, Federico Cafiero de Raho. Magistrato napoletano di lungo corso, che nella sua carriera si è occupato di camorra e ’ndrangheta in prima linea. Ma Cafiero de Raho è soprattutto una voce carismatica nella magistratura italiana. E c’era un silenzio assoluto, due giorni fa, nell’aula magna della Cassazione, ospite di un convegno organizzato dalla corrente Unicost, quando ha scandito davanti ai suoi giovani colleghi: «Coltivare il dubbio, deve fare parte della cultura del magistrato. Mai pensare che una persona, anche se nei suoi confronti è stata emessa una ordinanza di custodia, sia un colpevole. E ricordate che la solitudine è fisiologica nel nostro lavoro».
Procuratore, entra oggi in vigore la legge che impone regole più stringenti alla comunicazione dei magistrati. Siete tutti richiamati a tenere nella massima considerazione il principio di non colpevolezza del cittadino, salvo sentenza definitiva.
«E io sono perfettamente d’accordo con i principi enunciati dalla direttiva europea. Bisogna escludere dalle nostre comunicazioni qualunque indicazione che possa far apparire come colpevoli i soggetti coinvolti in un’indagine. Personalmente, l’ho sempre fatto ad ogni conferenza stampa che ho tenuto. Ho sempre sottolineato che le responsabilità sarebbero state accertate in modo definitivo solo con le sentenze».
Eppure lei al convegno è stato severo. Cito: «Il decreto legislativo ha voluto richiamare l’attenzione di tutti sulle conseguenze di un’informazione che sia particolarmente “cattiva” nei confronti di coloro i quali vengono raggiunti da misura cautelare». Ci spiega?
«Abbiamo assistito addirittura a suicidi di persone indagate, che si ritenevano del tutto innocenti. D’altra parte, sapere è un diritto del cittadino. È necessario dare diffusione della notizia di ordinanze cautelari. Ed è necessario che tutto questo avvenga in modo da conseguire la finalità prima delle informazioni, cioè dare al cittadino un senso di sicurezza e di protezione, di efficienza del sistema giudiziario. Aggiungo che in terre di mafia, serve anche mandare il messaggio che delinquere non conviene».
Però ci sono stati eccessi, non lo pensa anche lei?
«Nell’ambito della comunicazione va respinta l’immagine del magistrato quale depositario della morale collettiva. Al magistrato spetta solamente di applicare la legge; è questo il suo dovere, non fare il moralista».
Si dice: ci sono i circoli mediatico-giudiziari. E fanno danni terribili alla reputazione degli indagati.
«L’enfasi con cui certe indagini vengono rappresentate dalla stampa, rischia di diffondere nell’opinione pubblica la patologia del giustizialismo, la sollecitazione a una giustizia sommaria. Probabilmente anche la stampa dovrebbe trovare un maggiore temperamento. Ed è vero che si assiste a volte al protagonismo di alcuni circoli mediatici ai quali non sono estranei gli stessi magistrati, che tendono alla costruzione di verità alternative, mediante la propalazione di elementi non sottoposti a valutazione. Non è consentito al pubblico ministero, in prossimità della sentenza, sostenere una tesi che orienti il dispositivo, o che anche indirettamente lo condizioni, preparando la folla a una decisione che, se diversa da quella ipotizzata, venga interpretata come prodotto di timori del giudice o addirittura di condizionamenti».
Pensa a qualcuno?
«No, dico in generale».
E che cosa pensa della riforma Cartabia che pone tempi inderogabili ai gradi del processo?
«È evidente che se alla nuova disciplina, come è stato detto e come peraltro il Pnrr prevede, si accompagneranno risorse sufficienti, quindi più personale e una completa digitalizzazione, i tempi dei processi dovrebbero abbassarsi e dovrebbero essere rispettati anche da quei distretti che dimostrano le maggiori criticità».
Siamo alla vigilia della riforma del Csm. La magistratura verrà fuori dalla crisi in cui è finita con lo scandalo Palamara?
«Credo che una riforma sia necessaria e su questo sono tutti d’accordo. Penso però che la modalità più lineare e più obiettiva per comporre il Consiglio sarebbe quella del sorteggio, c he esclude la possibilità di interferenze da parte di chiunque. Mi è chiaro che il quadro porta in altra direzione: si vuole modificare la situazione, ma non nella direzione del sorteggio. Continuo a pensare, però, che il sorteggio corrisponda esattamente alla capacità del magistrato medio. Non mi scandalizzerei, anzi credo che sarebbe la modalità attraverso cui escludere qualunque eccessiva interferenza o condizionamento».
Una scelta radicale.
«Sì. D’alto canto le valutazioni di professionalità a cui sono sottoposti i magistrati, sono tali che di per sé evidenziano una magistratura che risponde alle esigenze di specializzazione richieste anche nell’ambito del Csm».
E che dice a chi considera incostituzionale il sorteggio dei membri del Csm?
«L’attuale ministra della Giustizia, in materia di conformità alla Costituzione è certamente in grado di esprimere una valutazione completa. Se anche se non fosse il mero sorteggio, almeno un sistema misto, con votazioni che portino ad un numero ampio di eletti, tra i quali poi procedere a sorteggio, ci darebbe una rosa di personalità capace comunque di limitare interferenze o condizionamenti». —