il Giornale, 13 dicembre 2021
Intervista a Luca Spada, il creatore di Eolo
Un giorno Luca Spada si arrampica sul tetto della sua casa di Casciago, in provincia di Varese, e monta un’antenna per tentare di connettersi con l’azienda di un amico. Sembra l’esperimento azzardato di un nerd a caccia di megabite per giocare online. Ma quel fai-da-te si trasforma in Eolo, oggi leader della banda larga senza cavi. L’azienda, che ha portato la connessione nei comuni più sperduti e minuscoli d’Italia, oggi vale la bellezza di 1,5 miliardi di euro.
E pensare che nasce tutto dalla passione per i videogiochi.
«È così. A 15 anni, durante le bigiate al liceo, con due soci fondo la Db Line, un’azienda che commercializza videogiochi. Nell’88 i videogiochi in italiano sono pochissimi. Li importiamo dal Giappone, li traduciamo e li vendiamo. Sono i tempi del Vic 20, l’Atari, il Commodore 64. Nel ’92 frequento il Politecnico, Ingegneria delle telecomunicazioni. Mio unico obbiettivo: usare Internet, che in quel periodo esiste solo nel mondo accademico. Nel ’94 vado tre mesi negli Stati Uniti a una fiera delle banche dati ad Atlanta. Resto folgorato. E a settembre fondo la Skylink, uno dei primi internet provider italiani. La terza start up è Ngi: nel ’94 Internet arriva nel business ma ancora viene usato dalle aziende come un’alternativa al fax. I primi browser escono nel ’96, prima è tutto prettamente testuale».
Gioco del cuore?
«Hibris su Amiga. Sono stato un mega maniaco del Commodore Amiga. È il classico gioco spaziale, con l’astronave che si muove e spara».
Quando nasce Eolo?
«Siamo nel 1999. Mi rendo conto che i videogiocatori hanno bisogno di un’ottima connessione Internet. Il gioco non può andare a scatti. Quindi inizio a lavorare sulle connessioni perché diventino stabili. Non mi accorgo subito, ma nel 2000 chi gioca on line non è il ragazzino di oggi. È un hobby molto costoso perché devi avere un pc super carrozzato, collegarti a una linea prestazionale. Perciò il nostro utente è un 30enne che già guadagna, nerd ma lavoratore. E grazie a lui la connessione arriva nelle aziende, prima con il modem, poi con l’adsl su cavi di rame che sono proprietà di Telecom».
Eolo è cresciuta grazie alle aree «trascurate» da Telecom?
«Telecom parte con l’adsl nelle grandi città, 200 quelle principali. E lascia indietro 7.800 comuni, dove esplode il cosiddetto digital divide, il divario digitale. Telecom di fatto dice al governo: o ci metti soldi pubblici, o noi l’adsl in tutti i comuni non la portiamo. È il 2006. Io abito in una frazione di Casciago, vicino a Varese, e non ho l’adsl. Spendo 500 euro al mese per avere una linea a 2 mega bite sgangherata. Di onde radio e tralicci non ne capisco niente. Capisco però che l’unica alternativa è fare a meno dei cavi. Nessun operatore potrebbe rimettersi a scavare l’Italia. Faccio ricerche e trovo un’azienda israeliana che si è messa a produrre ponti radio per applicazioni militari per creare reti wireless e collegare le tende dei campi militari. Hanno macchine in acciaio rinforzato. Ne importo una copia e faccio il primo test a casa mia. C’è un’azienda, la Elmec informatica di Gazzada, tra i miei primi clienti di Skylink. Vado dal proprietario e gli chiedo di mettere un’antenna sul tetto. Per coincidenza i suoi fratelli sono i miei vicini di casa e partecipano al test. Alle spalle noi abbiamo il Campo dei fiori. Il segnale da Gazzada arriva al convento delle Orsoline e poi a casa mia».
Due paesini del Varesotto e un convento delle Orsoline sono quindi stati i primi luoghi con connessione wireless?
«Eh sì. L’impianto funziona da subito molto bene e io mi trovo con 20 megabite di banda in casa, che è come dire oggi 100 giga. Poi attacco alla rete tutta la via in cui abito. Vado sui tetti dei miei vicini e monto l’antenna. Vedo che è come portare l’acqua nel deserto. Quando sposto le antenne delle Orsoline all’albergo vicino è una giornata tersa, bellissima, si vede tutta la pianura. Vedo una distesa di tetti rossi e mi dico: pensa che bello se un giorno riuscissi a portare l’antenna su tutti quei tetti».
Qual è stato il tetto più difficile da conquistare?
«L’installazione più dura è stata in cima alla val d’Ossola, in Alpe Devero. Abbiamo dovuto mettere un impianto su uno sperone dove arrivi solo con l’elicottero, non c’è corrente e abbiamo dovuto mettere i pannelli solari. Una volta sono andato a levare la neve da quei pannelli e ho rischiato di rimanere bloccato assieme ai miei collaboratori. Il tempo è cambiato improvvisamente e l’elicottero non aveva visibilità per poterci recuperare. Fortunatamente prima che facesse buio si è aperto un varco nel cielo e ci hanno salvati».
La connessione è uniforme in tutta Italia?
«Arriviamo ovunque, ma il nord è quello meglio coperto. Come espansione siamo sempre andati per prossimità geografica, con catene di tralicci sull’arco alpino a partire dal mio paese. Poi siamo scesi in pianura. Dal 2013 al 2015 lo Stato ha emesso una serie di bandi pubblici e noi ne abbiamo vinti 5 su 8, battendo Telecom in maniera inaspettata. Fatturavamo 40 milioni di euro e dovevamo affrontare un grosso investimento: di fatto dovevamo anticipare i soldi e lo Stato ci avrebbe poi dato il 30-40% di quello che avevamo speso. Alle banche abbiamo dovuto chiedere quanto il nostro fatturato».
E lì avete fatto il salto.
«Abbiamo rivoluzionato l’azienda: prima facevamo 3 impianti al mese, poi di colpo 60. Abbiamo assunto centinaia di persone, oggi siamo 540 e ce ne sono altri 10mila fuori: 2mila installatori di antenne, tecnici per 3.800 siti trasmissivi e la catena di venditori».
Dopo gli americani, anche gli investitori svizzeri hanno creduto in Eolo.
«Gli americani li abbiamo cercati perché volevamo nuovi fondi anche per coprire il sud Italia. Poco prima del Covid hanno iniziato a contattarci le principali banche d’affari perché avevano capito che fra 5-10 anni per navigare su Internet si useranno solo o fibra ottica o wireless dove la fibra ottica non arriva, cioè nel 25-30% della case. Con la pandemia l’appetito per il servizio di Eolo è cresciuto e i fondi ci dicevano che l’azienda poteva valere un miliardo di euro. A me sembrava strano. Io sono un imprenditore bustocco, concreto. Sì, l’azienda era cresciuta, sicuramente un grande orgoglio, ma un miliardo mi sembrava parecchio, è cento volte gli utili. Eppure poi siamo arrivati a un miliardo e mezzo. Abbiamo scelto gli svizzeri per due motivi: mi sono sembrati quelli più seri. Per me è fondamentale l’empatia e con loro l’ho sentita. Poi hanno presentato un progetto allineato con quello che volevo fare io».
Mire espansionistiche all’estero?
«In questi 15 anni abbiamo avuto tante richieste di portare Eolo all’estero, ma ho sempre declinato. Oggi siamo pronti. Andiamo per prossimità geografica».
Quindi subito oltre il confine?
«Hanno aperto un’asta in Croazia e abbiamo preso le frequenze radio. In Croazia sono in 4 milioni, è una buona palestra. Oltretutto l’Istria è molto vicina, abbiamo già tralicci sul confine. Poi proseguiremo sulla parte costiera e in Austria: nei piccoli paesi delle vallate oggi hanno una connessione che va a 10-15 mega bite, appena sufficiente per lo streaming, ma in prospettiva fra 4-5 anni non basterà più. Lì con la fibra non ci arrivano e faremo noi la rete Fwa, connessione che sfrutta rete cellulare e frequenze radio. Ci estenderemo in Svizzera, Francia, Germania».
Intanto Elon Musk guarda alla connessione via spazio.
«Elon lo conosco da sette anni. La prima Tesla immatricolata in Italia è stata la mia. Ero andato a visitarlo a Freemont. Conosco bene il progetto Starlink, sono stato il primo beta tester in Italia. Ho l’antennina già da sei mesi. È una tecnologia che va bene per collegare i clienti più dispersi. È una tecnica estremamente costosa e, al momento, funziona male. A casa mia, da dove vedo tutta la volta celeste, il servizio non va per 3-4 ore al giorno».
Perché?
«Perché la costellazione dei satelliti non è ancora finita. Sarà completata fra circa 5 mesi. Non si tratta di satelliti geostazionari – che per capirsi sono quelli grazie a cui vediamo Sky -. I geostazionari non vanno bene per Internet perché sono troppo lontani: quando clicchi, ora che il segnale va sul satellite e torna indietro passa un secondo, troppo. Inoltre, siccome il geosatellitare è uno solo, ha una quantità di banda uguale a uno dei miei tralicci. La nuova generazione di satelliti invece è a orbita bassa, 300-400 km. Però vedono meno territorio e quindi ne servono di più. E oltre tutto sono a scadenza, perché subiscono l’attrazione gravitazionale terrestre. I satelliti di Elon durano circa 14 mesi poi, quando finiscono il combustibile, vengono messi su una rotta di autodistruzione. Musk e Bezos stanno anche sviluppando i razzi riutilizzabili. Questa rete servirà per portare la connessione nei rifugi, nel deserto, sulle barche in mare aperto».
Fra 10 anni come ci connetteremo?
«In fibra e in wireless. Finito. Tutto ciò che è rame sparirà».
Cosa pensa del caso Dazn?
«Non ne hanno imbroccata una. Hanno fatto un accordo con Telecom senza coinvolgere altri operatori. Per capirci, Sky dal satellite manda un segnale e le antenne lo ricevono. Che a riceverlo siano dieci o cento antenne non cambia, il segnale è uno».
Come è andata la prova Dad e smart working?
«Prima del Covid, se mi avessero chiesto quanto ci avremmo messo a usare Dad e Zoom, avrei detto una generazione. Invece anche mia madre, 70 anni, insegnante di yoga, si è adattata in un attimo».
Siamo pronti al 5G?
«Quest’anno l’Italia ha una credibilità molto alta. Al forum Ambrosetti me ne sono accorto. Agli occhi degli stranieri hanno impattato molto anche i risultati agli Europei e alle Olimpiadi, il lavoro di Draghi (che spero rimanga il più a lungo possibile) e come stiamo gestendo la pandemia. Quindi è il momento per aprire a capitali stranieri. Inoltre prenderemo la quota più alta di soldi del Pnrr. Ci sono due nuovi bandi importanti: uno sulle aree grigie, dove noi ci siamo già preparati con mezzo miliardo di euro di investimenti pronti per portare la banda larga nei territori tra le aree rurali e le aree di città. E poi c’è un bando, l’Italia 5G, che serve per collegare i tralicci degli operatori con la fibra ottica. A livello di infrastrutture digitali, se spendiamo bene i soldi che arrivano, in 3-4 anni diventiamo un Paese molto quotato».
Eolo è una società benefit per statuto. Significa che siete una specie di Google?
«Ci teniamo ad essere un’azienda per così dire felice, una Google made in Italy. Guardo molto all’esempio di Adriano Olivetti: è stato il primo imprenditore a non considerare le aziende solo fonte di profitto, ma anche di bene per la comunità. Ha capito come è importante far lavorare le persone in un ambiente bello. È quello che cerchiamo di fare anche noi. Abbiamo l’area call center luminosa e ariosa, chi parla al telefono è il primo contatto con il cliente, deve stare bene per trasmettere energia positiva. Abbiamo un ristorante con due chef, frutta fresca tutti i giorni».
E anche dei campi da padel.
«Apriranno a breve a fianco della nostra sede di Busto Arsizio, per i dipendenti e per la città».
Prima il ciclismo, ora il padel. Lo sport è parte integrante della sua vita.
«Lo è. Nel 2012, all’alba dei 40 anni, pesavo 20 chili in più. Mia figlia Giulia, che all’epoca aveva 7 anni e aveva appena iniziato a fare atletica, mi ha sfidato in una corsa dopo un picnic. Lì ho capito che dovevo cambiare stile di vita. E così ho fatto. Ho corso e ho sponsorizzato molte corse. Poi è arrivata la squadra di ciclismo diretta da Ivan Basso, che ha raggiunto risultati fantastici. Vivo lo sport da sportivo, da appassionato. E da imprenditore».