Specchio, 12 dicembre 2021
Biografia di Gregorio Paltrinieri raccontata da lui stesso
Sugli sci Gregorio Paltrinieri sembra uno dei Beatles nella sequenza di «Help». Un mese in montagna, a Livigno, come spesso gli capita per gli allenamenti in altura di ogni nuova stagione e pure come non è mai stato prima perché alle spalle non c’è solo una intensa annata di nuoto, ma una sorta di viaggio oltre ogni confine conosciuto. Oltre il grado di fatica che riteneva di poter sopportare, oltre il coraggio che era convinto gli potesse servire, oltre la fiducia che lo ha sempre accompagnato. Oltre, da un’altra parte.
Ha gareggiato con la mononucleosi, si è presentato ai Giochi dopo due mesi in cui a ogni singola bracciata si esauriva qualsiasi residua energia. È tornato con un argento negli 800 metri in vasca e un bronzo nella 10 km delle acque libere e ora riparte da un altro fondo, buffo, inedito: sugli sci. Video di ruzzolate sulla neve postate via Instagram e passi in cui si muove goffo, cauto, nello stesso modo in cui il quartetto di Liverpool faceva in Austria per le riprese di un film sconvolto che, in teoria, serviva da tregua dopo tournée infinite diventate quasi tormento.
Sicuro di voler riprendere da un altro sfinimento come lo sci di fondo?
«Quello è per gioco, per provare, per entrare in altri territori e distrarmi. Ma pure da un assaggio simil comico, dal semplice movimento capisci che si tratta di un altro mondo di fatica. Temo di esserne attratto».
Vuole anche le Olimpiadi invernali adesso?
«No, tranquilli. Però non garantisco di voler smettere di accumulare prove diverse, magari non subito».
Come ha smaltito lo stress olimpico?
«Bene. Sono stato un mese in pausa, davvero fermo e contrariamente al solito non l’ho sentito, non ho patito. Di solito il fisico subisce una sorta di choc davanti a una tregua prolungata, invece ho ripreso tranquillamente. Ho fatto un’Olimpiade con le analisi sballate, ora sono perfette».
Si interroga sugli scherzi del destino?
«Mai. Indietro non si guarda, ora sono concentrato sui Mondiali di Abu Dhabi in vasca corta e prima, per il mio amato fondo, solo staffetta, niente 10 km negli Emirati».
Che fa, abdica al sogno di tuffarsi su ogni fronte?
«Figurarsi. Adesso semplicemente gestisco un po’. Se faccio tutto sempre, non riesco a nuotare ogni gara come voglio».
Pentito di essersi preparato per l’en plein a Tokyo?
«Rifarei tutto. Era il momento giusto, ma è stato più che difficile. Un massacro: non avrei mai potuto immaginare di arrivare a quel punto, di allenarmi in condizioni scandalose. Non so se l’ho gestita nel migliore dei modi o se ho rischiato, so che ero morto».
Da morto, ha vinto due medaglie.
«Erano le Olimpiadi, avrei provato qualsiasi cosa, le ho aspettate per 5 anni. Potevano andare meglio, me le tengo come sono».
Ha vinto tre medaglie in due edizioni, occupa un posto che in Italia vantano in pochi.
«Sono grato di aver avuto la possibilità di stare a questi livelli. Sono un ragazzo fortunato anche se niente mi è stato regalato. Ho lottato per essere questo atleta. Potevo forse incassare persino di più, senza la mononucleosi sono convinto avrei potuto toccare un’altra grandezza. È capitata, doveva essere il mio momento e pur di assaggiarne almeno un pezzo l’ho rincorso con tutto quello che avevo. Con più di quello che avevo».
Scusi, lo ridico: da Tokyo è tornato con due podi. Nelle sue peggiori condizioni si è piazzato secondo, terzo e quarto nei 1500 metri dove ha centrato l’oro nel 2016.
«Lo so. Guardi, per il giudizio su me stesso potevo anche saltarle queste Olimpiadi. So quanto valgo, solo che mi sono immerso in una nuova avventura, con ambizioni importanti e la percezione globale conta. Senza ossessioni, ma conta».
Al momento perfetto ci è arrivato con il fiatone, a Parigi 2024 ci riprova o passa a desideri più gestibili?
«Non lo so, non ne ho idea. Inseguire tre ori significa puntare alla perfezione. Dovrò vedere in che condizioni mi ritroverò allora. Prima di stare male, la scorsa primavera, sapevo di poter salire sul gradino più alto del podio in tre specialità diverse, ero in una condizione pazzesca. Tra tre anni chi può dire come sarò messo. So bene che non si può vivere con la fissa di dimostrare di essere il più forte. È sfinente, ve lo garantisco».
Quando lei se ne andato da Ostia, quel gruppo di lavoro si è sciolto. Morini, suo allenatore storico, e Detti, il compagno di corsia con cui è cresciuto, hanno traslocato a Livorno. Ciclo finito o era lei il pilastro?
«Insieme avevamo raggiunto il massimo. Le persone cambiano e con loro le esigenze. Via io, via tutti, nel giro di un anno, vero, fa pure un po’ impressione pensarci. Da Ostia, di certo, sono partito con una esperienza incredibile però sono felice di aver cambiato. Ne avevo l’esigenza e essere nel gruppo di Fabrizio Antonelli è esaltante. Il rapporto con lui è proprio come mi aspettavo sarebbe stato. Cresciamo insieme».
Anche il suo amico Detti avrebbe bisogno di cambiare?
«Se è sicuro del suo percorso deve stare dove è. Se sente la stessa fiducia che aveva prima non deve spostarsi solo perché dei risultati sono andati storti. Comunque sia, mi aspetto ancora tanto da lui».
A proposito di amici. Come ha vissuto l’oro di Tamberi?
«Ero al Villaggio olimpico, 1000 persone in una stanza, un bordello. Saltavo, urlavo, mi ricordo più la sua gara delle mie, di sicuro mi sono emozionato più. Gli altri lo hanno aspettato, io stavo tra le gare in piscina e quelle di fondo, ero un cencio, dovevo dormire».
E quando vi siete rivisti?
«A colazione, il giorno dopo. Lui non era mai andato a letto, aveva un’espressione beata. Mi ha raccontato le sue sensazioni, ci ho ritrovato le mie. Invidio la sua reazione: ti spacchi, perdi l’attimo e poi sei così bravo e testardo da tornare. Una gestione ammirevole».
L’Italia sportiva del 2021 è un sogno. Che cosa è successo?
«Di sicuro vincere aiuta a vincere. Non c’è una ricetta magica, però avevamo tutti voglia, anzi bisogno, di esserci. Ho visto sempre lo stesso spirito: calcio, volley, atletica nuoto. Eravamo pronti a combattere. Solo chi si butta può ottenere il massimo. Se non ci credi, se hai dei freni, di certo non succede».
Ora lei è la guida di una nazionale di nuova generazione. Come vive il ruolo?
«Mi motiva, non mi nascondo, lo vivo a pieno. Sti giovani li vedo già maturi, quanto meno pronti, consapevoli delle aspettative e preparati. Noi abbiamo alzato il livello. e loro lo sanno. Mi diverte dare dei consigli, non li impongo, solo che a questo punto capisco quando qualcuno vuole parlare e le traiettorie a volte mi stupiscono. Anzi, succede continuamente. In questa nazionale tutti imparano da tutti».
Una nazionale senza Federica Pellegrini. Lascia un vuoto o ormai il nuoto azzurro cammina per conto proprio a prescindere dai nomi?
«Senza Pellegrini? La mano sul fuoco non ce la metto, va ancora forte e questa estate gli Europei sono a Roma, nella piscina in cui lei ha vinto tutto. Vediamo se sente il richiamo. La squadra comunque è compatta e forte e sa come farsi notare, a prescindere da lei, da me, da chiunque».
La parte patinata adesso ce la mette lei. Per la prima volta è finito sulle copertine glamour per una relazione.
«Non è una dimensione che ho cercato e non l’ho nemmeno patita. Alle Olimpiadi io e Rossella Fiamingo abbiamo deciso di passare una vacanza insieme. E lo abbiamo fatto. Ci siamo trovati, abbiamo scoperto che l’intesa intuita è reale e ora viviamo la nostra storia. Tutto qui».
L’amore è nato alle Olimpiadi di Tokyo?
«Lì ci siamo visti pochissimo, lei la scherma, io il nuoto. Ci saremo incrociati tre volte al massimo e per questo ci siamo detti: "Vediamoci dopo, capiamo che succede". È venuto spontaneo. Ci conoscevamo già, ma non ci eravamo mai frequentati. Eravamo curiosi, io e Ros. Per il mio compleanno, a settembre, siamo andati a Londra in giornata. Così, pronti e via in 24 ore partenza e ritorno per vedere qualche mostra, fare un giro e cenare lì».
Dopo il colpo di fulmine per Basquiat, altre passioni artistiche?
«Ho visto dei lavori di JR, il trompe-l’oeil a Roma, a Palazzo Farnese, per esempio e poi anche a Londra. Mi ha conquistato. E ho iniziato a scattare qualcosa, con il rullino, non in digitale. Non per trasformarmi in artista, ci mancherebbe, ma così da ricordare anche le esperienze, i viaggi. Mi diverte».
Come Tsitsipas, il tennista.
«Davvero? Magari poi si scopre che lo sport regala dei punti di vista speciali. Io fotografo soprattutto strade, pochi ritratti, sto imparando, ho fatto molti bianco e nero anche se non posso certo dire di avere uno stile particolare. Faccio esperimenti. È una passione in più che mi accompagna. Mi piace scoprire interessi, evolvere. Non voglio essere sempre la stessa persona per questo è difficile dire che cosa mi aspetto dalle prossime Olimpiadi o a quali obiettivi punterò in futuro. L’effetto sorpresa è fondamentale per me».