Il Sole 24 Ore, 12 dicembre 2021
Qualche cucchiaio di teriaca per vivere più a lungo
La teriaca, un farmaco antico. Mutò i suoi in gredienti nel corso dei secoli diventando anche un rimedio contro la peste. Una tradizione ne attribuisce l’invenzione a Crateva, medico di Mitridate VI re del Ponto (morto nel 63 a.C.), monarca che assumeva veleni a dosi calcolate per immunizzarsi in caso di attentati. Altri indicano Andromaco, che curò Nerone: ne avrebbe corretto la ricetta aggiungendo carne di vipera. Non manca chi la segnala già ad Alessandria d’Egitto nel IV-III secolo prima della nostra era.
Gli ingredienti? Non è facile rispondere. Per tale rimedio, che lascia tracce sia nelle letterature greche e latine, sia in altre quali la siriaca, l’ebraica, l’armena e l’araba, alcuni ricettari elencano da 54 a 57 componenti; tuttavia Véronique Boudon-Millot, la massima esperta di Galeno, ne indica 70. Tra essi spicca l’oppio e alcune formule prevedevano testicoli di castoro. E inoltre c’erano, per esempio, nardo, cinnamomo, pepe nero, genziana.
Medicinale fortunatissimo, la sua preparazione suscitò controversie infinite. A Venezia per la teriaca s’idearono cerimonie; l’uso arrivò in Cina e si vendette a Napoli sino al 1906. Un ricettario arabo del secolo XII, il Grabadin, evocando l’autorità di Avicenna, la descrive come toccasana per ogni età (non soltanto per «vecchi e decrepiti»), considerandola in grado di curare molteplici patologie, comprese epilessia, coliche e flatulenze.
Si è ricordata Véronique Boudon-Millot. Tale studiosa, dopo aver curato nel 2016 la Teriaca a Pisone di Galeno, pubblica ora – sempre per Les Belles Lettres – la Teriaca a Panfiliano, attribuita al maestro della medicina antica che ebbe in cura Marco Aurelio. È il secondo testo, più breve, sul farmaco conservato nel corpus galenico. Anch’esso testimonia le qualità che il medicamento esercitava contro veleni e malattie. L’autore sarebbe stato «un medico attivo in Egitto ma che ha soggiornato a lungo a Roma».
Nella nuova edizione del trattatello, con testo critico, traduzione e notevole apparato di note, si scoprono paure e speranze antiche. Nel II capitolo si leggono le esortazioni dell’autore a rifornirsi di teriaca in quantità e a utilizzarla per le sue virtù. Si assicura che fa vivere a lungo e in buona salute, come provano i ricchi romani che la prendono regolarmente. E ancora: essa cura e migliora la qualità del sangue ed è raccomandabile nei viaggi.
Nel IV capitolo, cuore del trattato, c’è la lunga lista delle malattie combattute dalla teriaca e si evidenzia la sua superiorità sugli altri rimedi. Ci sono anche cenni sulla posologia. Tra le righe si coglie l’antica illusione di una vita senza fine che, in un modo o nell’altro, rende sopportabile ogni farmaco.