Il Sole 24 Ore, 12 dicembre 2021
A tavola con la scienziata Anna Gregorio
«Mio padre Leonardo era un artigiano autodidatta che ha posato i pavimenti in legno in molti uffici delle Generali e in molti bar storici di Trieste. Mia madre Gianna, con il diploma in ragioneria, teneva la contabilità della ditta di famiglia. Io ho studiato fisica e sono diventata una scienziata. Questa è una città di commercianti e di pensatori, di uomini d’azienda e di donne emancipate che, per le loro libertà e la loro determinazione, a lungo sono state considerate di facili costumi, mentre invece erano soltanto indipendenti e di carattere. Trieste è sia di mare sia di terra ferma. Nella sua anima contiene il Mediterraneo, ma ha dentro anche il Nord e l’Est Europa. Qui si trovano la materialità delle navi e dei cantieri e l’immaterialità dei numeri e delle assicurazioni. Sono diventata imprenditrice perché amo tutto questo, come amo l’Italia, per quanto ne veda i limiti. Mi piacerebbe che la mia azienda, che è ancora piccola, si sviluppasse anche per rompere questi limiti e per fare germogliare e crescere nuove piante tecnoindustriali nel nostro Paese. Perché dobbiamo pensare che soltanto gli altri possano operare sulla frontiera tecnologica? Anche noi siamo in grado di farlo».
Anna Gregorio, classe 1967, è una donna che ha il suo primo riferimento nel cielo. Insegna all’università di Trieste (il suo corso si chiama Laboratorio di astrofisica spaziale) ed è stata, negli ultimi quindici anni, una delle maggiori protagoniste europee della ricerca sullo spazio: ha avuto un ruolo operativo significativo nel concepimento e nel lancio, nel 2009, del satellite Planck della Agenzia Spaziale Europea curandone gli strumenti di misurazione e, adesso, ha una posizione ancora più centrale e strategica – nella gerarchia e nel coordinamento manageriale e scientifico della strumentazione, della elaborazione e della misurazione dei dati – nel caso di Euclid, il satellite telescopio che verrà messo in orbita non prima di un anno. Ma Anna è anche una delle prime imprenditrici europee a muoversi nella Space Economy (l’economia dello spazio) attraverso la Picosats, una società specializzata nella progettazione e nella realizzazione di radio ad alte frequenze miniaturizzate per piccoli satelliti.
Siamo allo Yacht Club Adriaco, uno dei più antichi del Paese: «Io e mio marito Stefano ci siamo conosciuti a quindici anni. Lui è membro della Società Triestina della Vela, che sta proprio qui accanto. Con la nostra barca, Lola, d’estate usciamo tutti i finesettimana. Abbiamo fatto il pranzo di nozze qui». La giornata è luminosa, il cielo sopra Trieste è blu cobalto, il mare è calmo, non fa freddo e la bora non soffia. «Oggi Claudio Magris non c’è. Capita che, a mezzogiorno, venga a mangiare», racconta mentre ci sediamo nella sala da pranzo del circolo. Sullo sfondo, si scorgono le montagne della Carnia e dell’Austria.
Questi legni, velluti e ori sembrano depurati da ogni forma di implicito barocco e da qualunque esplicita pretenziosità e compongono un ambiente borghese, nella accezione triestina del termine: ricchezza e prosperità ma anche un senso popolare – non popolano – delle cose, la professione su un piano non dissimile dallo sport (la barca qui non è uno status symbol per pochi, ma è la quotidianità per tanti) e il denaro mai superiore alla cultura, perché anche questa è la lezione di una città in cui ci si scappellava con egual senso di dignità davanti ai membri delle famiglie delle Generali e della Riunione Adriatica di Sicurtà (i Morpurgo e i Levi Della Vida, i Ralli e i Frigessi) e si incontravano per strada e nei caffè Italo Svevo e James Joyce, Marcello Dudovich e Umberto Saba.
«Per antipasto potremmo prendere dei sardoni impanati e, poi, come piatto principale, del pescato del giorno», propone Anna. Vada per i sardoni impanati. Intanto, il cameriere del circolo porta un bicchiere di malvasia friulana: «Va bene per ogni tipo di pesce», dice.
Anna Gregorio rappresenta un punto di congiunzione fra la scienza pura e la ricerca applicata, la operatività manageriale nelle grandi iniziative a capitale pubblico e il tentativo di trasformare questi elementi in sviluppo privato industrialmente di lungo periodo, finanziariamente sostenibile e altamente profittevole in caso di successo. E, anche, costituisce un diaframma fra le diverse anime matematiche della città: «Un mio compagno di studi a fisica, Cristiano Borean, è il Chief financial officer delle Assicurazioni Generali. Leonardo Felician, il fondatore di Genertel, è anche lui un fisico».
Entrambi finiamo rapidamente il piatto di sardoni impanati. Anna ha una laurea in fisica delle particelle a Trieste, un dottorato di ricerca alla Normale di Pisa («era un ambiente qualificato, ma anche tradizionalista, soprattutto nella sua componente scientifica: io provenivo da un’altra università, mentre spesso il perfezionamento era appannaggio di chi era già normalista, e soltanto l’anno precedente al mio arrivo una ragazza si era laureata in fisica, non era mai successo prima») e una lunga esperienza al Cern di Ginevra guidato da Carlo Rubbia: «Ho lavorato con altri due Nobel per la fisica come Jack Steinberg, che andava in giro scalzo e si addormentava agli incontri ma quando si risvegliava aveva la capacità sciamanica di capire tutto e tutto risolvere, e Samuel Ting, che creava due gruppi di ricerca denominati 1 e A mettendoli in competizione sullo stesso obiettivo».
In Olanda, all’università di Delft, ha preso un master in ingegneria dei sistemi spaziali. È stato, dunque, naturale il passo verso il cielo. Versandosi un bicchiere di malvasia, spiega: «Nel 2007 ho iniziato a collaborare a Planck, il satellite per misurare la luce primordiale dell’universo. Per due anni ho lavorato tantissimo: alcuni colleghi, più alti in grado di me nel progetto, per ragioni personali avevano abbandonato il gruppo. Mi sono consumata. Era una responsabilità enorme ed usurante. Il 14 maggio 2009 il satellite è stato lanciato dalla Guyana francese. Adesso ho una posizione gerarchica più alta nel progetto di Euclid: l’Agenzia Spaziale Europea mi ha affidato la preparazione e la gestione di tutta la strumentazione per l’analisi della materia e della energia oscura, quel 95% della materia e dell’energia originaria dell’universo che è a noi ignota», racconta con soddisfazione Anna Gregorio, che ha pubblicato articoli – firmandoli da sola o con altri autori – su «Astronomy & Astrophysics», «Journal of Instrumentation» e «IEEE Access».
Il branzino, cucinato al forno, è molto delicato. Vira, invece, verso una intonazione di dispiacere il racconto di Anna. La quale, mentre si imponeva come una delle scienziate-manager più apprezzate sullo scenario continentale, rimaneva – secondo la frequente distonia italiana fra posizione accademica, concorsi persi e credibilità internazionale acquisita – una semplice ricercatrice fino al 2018, quando è diventata professoressa associata: «Lo so che probabilmente non diventerò mai professoressa ordinaria, ma non importa, ho già provato troppo malessere. Una cosa buona, però, è successa. Mentre aumentava il mio disagio, cresceva anche la mia motivazione a diventare imprenditrice».
Oggi la Space Economy vale, secondo le stime di Bank of America, 500 miliardi di dollari. Nel 2030 dovrebbe salire a 1.400 miliardi di dollari. La Picosats nasce nell’Area Science Park della città come uno spin-off dell’Università di Trieste, che poche settimane fa è uscita dal capitale. Dopo l’ultimo aumento di capitale, Anna Gregorio ha il 42,5% dell’impresa; il 20% è di Mario Fragiacomo, un ex manager di Telit, la società di telefonia: «Mario ha una esperienza nel posizionamento dell’impresa, una competenza nell’esecuzione dei processi
e una reputazione sul mercato che sono e saranno cruciali per noi».
Questa piccola società sta sperimentando un passaggio molto delicato: dopo una prima fase in cui le commesse erano di natura pubblica (Agenzia Spaziale Europea e Agenzia Spaziale Italiana) e riguardavano soprattutto studi di fattibilità e prototipi, la Picosats ha appena chiuso un contratto per una fornitura con la società canadese Aqst, entrando così in un mercato che sta crescendo a dismisura grazie agli investimenti di grandi nomi del capitalismo internazionale come Elon Musk, Jeff Bezos e Richard Branson.
Anna è magra, ma non ossuta. Ha l’asciuttezza di chi ha destrutturato e assimilato i dispiaceri della vita e ha praticato lo sport fin da adolescente, facendone una seconda identità e un elemento di costante gioia: «Con mio marito siamo andati in Patagonia, in Tibet, in Mongolia. Dopo il lancio dalla Guyana francese del satellite Planck, io e Stefano siamo rimasti in Sud America e abbiamo fatto trekking per cinque giorni nella foresta dell’Amazzonia».
Per il dolce, lasciamo lo Yacht Club Adriaco. È primo pomeriggio. Si è alzato il vento, che però non è violento. Dopo una breve passeggiata, raggiungiamo il Caffè degli Specchi in Piazza Unità d’Italia. Dividiamo in due una fetta di torta alla crema. E, mentre prendiamo il caffè che qui viene servito insieme ad una mini-tazzina di cioccolata calda, aleggiano nell’aria senza tempo di Trieste le parole di Joyce sulla genesi del diciassettesimo episodio dell’Ulisse, che ha per nome Itaca: «Sto scrivendo Itaca in forma di catechismo matematico. Tutti gli eventi si risolvono nei loro equivalenti fisicocosmici», un metodo per il quale «il lettore saprà tutto e lo saprà nel modo più secco e freddo», tanto che i due protagonisti Bloom e Stephen «diverranno corpi celesti, erranti come le stelle che essi contemplano».
Nell’eterno gioco dell’associazione fra realtà e immaginazione e fra letteratura e scienza, che a Trieste è particolarmente fecondo e vitale, in qualche modo accade anche questo a Anna Gregorio, donna che osserva il cielo.