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 2021  dicembre 12 Domenica calendario

Il gas russo fa rotta verso la Cina

I rincari record del gas in Europa e il rischio di un’invasione russa in Ucraina hanno riacceso i riflettori sul Nord Stream 2, con gli Stati Uniti tornati a minacciare sanzioni per impedire l’avvio del gasdotto nel Mar Baltico. Ma mentre l’attenzione si concentra sul Vecchio continente, Mosca lavora per allargare lo scacchiere energetico ben oltre i confini (e il raggio di influenza) delle potenze occidentali.
Lo sguardo è rivolto a Oriente, dove il Cremlino – forte di relazioni politiche e commerciali sempre più strette con la Cina – sta gettando le basi per una nuova strategia sul fronte del gas, mirata a mettere in competizione i clienti storici, fino a poco tempo fa incontrastati, con nuovi clienti affamati di energia e disposti se serve a pagarla a caro prezzo. 
Gazprom ha già iniziato a giocare su due tavoli, inaugurando esattamente due anni fa, il 2 dicembre 2019, il Power of Siberia, gasdotto che per la prima volta le ha aperto le porte del mercato cinese. Ma il piano di diversificazione è solo all’inizio. L’obiettivo è costruire una seconda pipeline, il gasdotto Altay o Power of Siberia 2, che a differenza di quella già in funzione andrà a “pescare” negli stessi giacimenti che riforniscono l’Europa, quelli della penisola siberiana di Yamal.
Negli ultimi mesi c’è stata un’accelerazione dei piani. Il Power of Siberia 2, di proprietà condivisa tra Gazprom e la cinese Cnpc, con il 50% ciascuno, è diventato più conveniente e più funzionale alle esigenze di entrambi i soci dopo che la rotta è stata ridisegnata prevedendo il passaggio dalla Mongolia (altro mercato promettente per il gas) e lo sbocco più vicino a Pechino, in un’area densamente popolata e industrializzata. Così gli studi di fattibilità sono già partiti, con l’obiettivo di realizzare l’opera entro il 2030. 
Nel frattempo continuano a pieno ritmo anche i lavori per il primo gasdotto russo-cinese. La linea per ora è collegata a un solo giacimento in Jacuzia, quello di Chayandinskoye. Ma a fine 2022 riceverà anche il gas di Kovyktinskoye, nell’area di Irkutsk, ed entro il 2025 dovrebbe raggiungere la piena capacità di trasporto: 38 miliardi di metri cubi (Bcm) l’anno, che Mosca sta valutando di elevare a 50 Bcm. 
Già adesso, con una portata di circa un terzo rispetto all’obiettivo a regime, il Power of Siberia si sta rivelando prezioso per la Cina: la Repubblica popolare – alle prese con gravi carenze di energia – acquista volumi crescenti di gas russo, che Gazprom mette a disposizione senza lesinare e a prezzi a quanto si dice super vantaggiosi rispetto ad altre fonti di approvvigionamento. Quel gas non potrebbe raggiungere direttamente l’Europa, perché viene estratto in regioni che non sono collegate con il nostro mercato. Ma la Russia, consumandolo “in casa”, avrebbe forse potuto liberare volumi aggiuntivi da offrire ai vecchi clienti. 
Due pesi e due misure
Anche l’Europa, come la Cina, sta affrontando un inverno difficile: gli stoccaggi di gas sono bassi e i prezzi dell’energia volano a livelli record. Ma le forniture russe continuano, ormai da mesi, ad arrivare col contagocce: Gazprom consegna i volumi pattuiti per contratto, senza offrire una sola molecola in più. Un comportamento anomalo rispetto al passato, che molti interpretano come una forma di ricatto per farsi autorizzare il Nord Stream 2.
Fa molto freddo e le scorte di gas sono inadeguate anche in Russia, si giustifica Mosca. Eppure, quando si tratta di servire Pechino, le necessità del mercato domestico passano in secondo piano. È la stessa Gazprom a vantare la propria generosità, in un comunicato del 1° dicembre in cui afferma che «dal 2 novembre le forniture (via Power of Siberia, Ndr) hanno superato ogni giorno di oltre un terzo gli obblighi contrattuali, come richiesto dalla Cina».
Le esportazioni del colosso russo in generale non stanno correndo: proprio a novembre le forniture ai cosiddetti Paesi Far Abroad (fuori dall’ex Urss) sono anzi crollate nel complesso ai minimi di quest’anno, appena 423 milioni di metri cubi al giorno, fa notare S&P Global Platts. Le cifre fornite da Gazprom non specificano quanto gas sia andato in Cina e quanto invece abbia raggiunto i mercati tradizionali in Europa e Turchia. Ma dai commenti inclusi nel comunicato è evidente che non è stata Pechino a subire la chiusura dei rubinetti.
L’Europa, percorsa da una fitta rete di gasdotti, resterà ancora a lungo il mercato principale per il gas russo. Ma Gazprom è molto chiara in proposito: l’obiettivo definito nel piano industriale è aumentare al 30% la quota di esportazioni in Asia, dal 5% del 2019. Lo scorso mese la società ha raddoppiato il piano di investimenti (capex) per il 2022 a 24 miliardi di dollari, assegnando priorità allo sviluppo delle forniture alla Cina. 
Mercato del futuro
La scelta non stupisce. È in Asia che la domanda di gas promette di crescere a ritmi esponenziali, sull’onda dello sviluppo economico e demografico e per attenuare la dipendenza dal carbone. A prescindere dallo stato delle relazioni con Mosca, la Ue punta invece ad accelerare sulle rinnovabili e a finanziare progetti nell’idrogeno verde.
La Cina, che tra l’altro confina con la Russia per oltre 4mila km, è lo sbocco commerciale più logico e promettente. Con l’impegno di Pechino alla neutralità carbonica entro il 2060 e a stabilizzare le emissioni di CO2 entro il 2030, la domanda cinese di gas potrebbe salire dagli attuali 370 Bcm l’anno ad almeno 600 Bcm a fine decennio prevede Bernstein. L’import cresce già a ritmi vertiginosi, in forma di Gnl e non solo: Platts Anaytics stima che gli acquisti cinesi via gasdotto (da Russia, Asia Centrale e Myanmar) si attesteranno in media a 162 milioni di metri cubi al giorno in questo anno termico, contro i 19 milioni dell’anno scorso.
In uno scenario così è chiaro che per l’Europa diventerà sempre più difficile (oltre che costoso) vincere la competizione per le forniture. Del resto lo stiamo già sperimentando con il Gnl: nei periodi di forte domanda i carichi spot – spesso provenienti dagli Usa, potenza amica della Ue – si dirigono quasi tutti in Asia, dove vengono pagati di più. 
La Russia peraltro si sta muovendo in fretta anche sul fronte del Gnl. E alcuni dei suoi maggiori impianti di liquefazione, sviluppati da Novatek, hanno soci cinesi: Cnpc possiede il 20% di Yamal Lng, mentre nel capitale di Arctic Lng 2, che dovrebbe essere pronto nel 2023, ci sono sia Cnpc che Cnooc, col 10% ciascuna. Nel frattempo Pechino si sta accaparando a man bassa anche il gas «made in Usa», con una serie di maxi accordi di fornitura appena firmati con Cheniere e Venture Global Lng. 
L’Europa è invece sempre meno propensa a vincolarsi con contratti di lunga durata. Un errore che rischiamo di pagare caro, avvertono molti esperti. «Come la Russia,che sta aumentando strategicamente le sue opzioni, anche l’Europa dovrebbe valutare le proprie necessità in modo strategico», afferma Filip Medunic, dello European Council on Foreign Relations (Ecfr). Bene spingere sulle rinnovabili dunque, ma al tempo stesso sarebbe saggio «considerare di tornare a firmare più contratti di lungo termine» per il gas, che ci servirà ancora per molti anni. «Il momento di prendere decisioni cruciali è adesso – conclude Medunic – prima che fornitori chiave come la Russia abbiano l’opzione di guardare a est piuttosto che a ovest per le vendite».