Corriere della Sera, 12 dicembre 2021
Gianluca Vacchi è stato assolto. Intervista
«Quando stai sotto processo per 18 anni e poi vieni assolto perché il fatto non sussiste, due cose da dire uno ce l’ha, perché la gioia è grande, ma 18 anni sono lunghi, eterni». Gianluca Vacchi ha la voce sollevata e insieme ferma. Celebre per i suoi 44 milioni di followers sui social, per i balletti e la vita spensierata da milionario, in realtà si portava dentro questa pena dal 2003. La notizia dell’assoluzione gli è arrivata giovedì. L’accusa era pesante: bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione nel processo Parmatour, uno dei filoni del crac Parmalat. La richiesta di condanna era di 4 anni e 6 mesi. I fatti risalgono al 2001 e 2002, quando aveva ceduto la sua Last Minute Tour alla Hit di Calisto Tanzi per 29 milioni euro, cifra «esorbitante» secondo la Procura di Parma che aveva ipotizzato una distrazione ai danni dei creditori Parmalat e che l’aveva condannato una prima volta. Però la sentenza era stata annullata in Appello a Bologna e il processo era iniziato da capo.
Vacchi, quali sono le «due cose» che ha da dire?
«La prima è ringraziare i giudici del Tribunale di Parma che hanno preso in mano questo dossier penale con serietà e lo hanno valutato in tutta la sua inconsistenza arrivando a un’assoluzione totale. La seconda è che vivere 18 anni sapendo che il fatto non è mai sussistito è un’esperienza forte e molto dolorosa».
Il dolore a che era dovuto?
«Agli assurdi giudiziari. La prima volta, nel 2012, sono stato condannato per un reato diverso da quello per il quale ero accusato. Poi, mi sottoposero a un sequestro preventivo, che, a fronte di una supposta distrazione di 29 milioni, ammontava a 120 milioni».
L’equivoco di partenza era sul valore dell’azienda.
«Last Minute Tour era la prima compagnia di prodotti turistici ultimo minuto, una formula diventata la più diffusa nel settore, un’idea la cui bontà e genialità è stata confermata non da me, ma dalla storia. Con l’attentato alle Torri gemelle e un mercato sotto choc, decisi di vendere. Il gruppo Parmalat era già attivo nel turismo e aveva a sua volta bisogno di collocare pacchetti comprati e invenduti. Poi, arriva il crac Parmalat e vengo chiamato in quella burrasca: il pm sosteneva che il prezzo era privo di fondamento, basandosi su una perizia di poche pagine. Forse, non si era ancora sentito parlare di Amazon».
Che c’entra Amazon?
«Basta aprire il Wall Street Journal per vedere decine di società in perdita che però valgono bilioni, è successo a tanti colossi. Non so come sia stato possibile questo travisamento. Ho visto gli uffici della Procura di Parma: erano talmente sommersi dalle carte, che forse non si poteva dedicare il giusto tempo a tutto. E, nel marasma di imputati, ero uno dei pochi solvibili. In quel 2012, però, quei 120 milioni sequestrati erano tutto il mio patrimonio. C’è voluta tutta la mia resilienza per andare avanti. Ho avuto visite in casa dieci volte, hanno provato a entrare pure da mia madre per prendere cose presunte mie. Ma non era finita».
Che altro è successo?
«Quando la Corte d’Appello di Bologna annullò il sequestro, due giorni dopo, il Tribunale di Parma deliberò un altro sequestro da 50 milioni. Eppure, il pm d’appello aveva detto ed è agli atti che quella era una brutta pagina della giustizia italiana».
Come ha fatto a lavorare, e a vivere, in quegli anni?
«A lungo, non ho più potuto fare l’imprenditore. Mi era rimasta solo la partecipazione nell’Ima di famiglia. Mi sono fatto una vita su Instagram, ho creato l’azienda di me stesso, perché la vita reale era così opprimente che me ne sono inventato una virtuale. Però alla fine, se sono l’uomo che sono, è anche perché ho passato questo dolore e l’ho sconfitto prima dentro di me e poi in tribunale. Ho avuto la forza di reinventarmi, lavoro con marchi globali, faccio il deejay, ora sto lanciando una catena di Kebab: Kebhouze».
La prima cosa che ha fatto, appresa la bella notizia?
«Dopo aver parlato coi miei avvocati Tullio Padovani e Andrea Soliani, ho chiamato mamma, una donna che ha sconfitto due cancri e mi ha visto al tg associato al crac Parmalat. Con lei, non ho trattenuto la commozione».
Dove vive ora, che vita fa?
«Sei mesi in Italia sei a Miami con la mia futura moglie Sharon Fonseca e la nostra Blu Jerusalema. Buona parte della gioia l’ho provata per lei, pensando che suo padre è assolto perché il fatto non sussiste e non uno che ha avuto problemi con la giustizia».
Qualche tempo fa, sul Corriere, stupì raccontando che faceva la crioterapia in casa. Sono arrivate altre ipermodernità antiaging?
«La camera iperbarica: ci sto due ore tutte le mattine, ci dormo dalle sei alle otto e ossigeno mente e corpo. E aggiunto una bici inventata da me a raggi infrarossi. L’obiettivo è arrivare bene al 2035: un medico spagnolo sostiene che, a quella data, potrà invertire il corso del tempo».